眞言 – Il mantra del runner

Benvenuti nel nuovissimo RunLovers in giapponese.

 

 

 

Tranquilli. 眞言 vuol dire “mantra”. In giapponese, ovvio.

Silenzio/Respira. Respira/Muoviti.

Il silenzio. Un vento silenzioso che spira. Gli alberi che respirano. Lo scroscio di una sorgente. Lo spirito si fonde con la natura e la contempla. Le parole si sciolgono nell’aria e non servono più. L’anima si diffonde e abbraccia il visibile. Silenzio. Pace.

Le gambe indolenzite. Il respiro affannato. Tira su col naso. Abbranca ogni molecola d’aria. Spingi sulle gambe. Fuori il silenzio. Dentro i polmoni che bruciano. Stai spingendo. Ce la sto facendo. Ce la sto facendo? La milza. La caviglia. Voglio finirla. Devo finirla. Voglio silenzio. Voglio correre.

Sono due immagini contrapposte: la calma e la pace, il movimento e l’affanno.
Eppure una cosa le lega: la ripetizione di un gesto o di una parola, di una sequenza motoria e di una frase.

Il mantra.

Il mantra è l’unione di pensiero e parola. Deriva dal verbo sanscrito man collegato a tra che diventa aggettivo con il significato “che protegge”, quindi “pensare, pensiero, che offre protezione” (Wikipedia).
Il mantra è una parola che diventa suono. Un suono ripetuto con cadenza regolare e a lungo. Sino a perdere il suo significato. Lo scopo della pratica è indurre la mente di chi lo pronuncia (sottovoce o anche solo mentalmente) a liberarsi dai pensieri negativi sino a farle abbracciare la propria essenza, riappropriandosene. Una specie di alienazione buona, a fin di bene. È fondamentale praticare il mantra controllando la respirazione e l’intensità del suono. La costanza e l’uniformità devono essere perfette.

Dove l’ho già sentita questa?

Ripetizione. Respirazione. Costanza. Uniformità. Fluido. Essere fluidi. Non vi sono nuove queste parole, no?
Ripetere movimenti. Gli stessi movimenti. Quasi autisticamente.
Respirare. In armonia con il corpo.
Costantemente. Senza cedere. Dall’inizio alla fine.
Uniformità. La ripetizione precedente uguale alla seguente. Un passo dopo l’altro.
Fluido. L’acqua occupa ogni spazio, se lasciata libera. La mente si espande durante la corsa.

Quindi.

Possono queste due attività – una sedentaria e una dinamica – avere qualche punto in comune? La struttura sembra essere la stessa: non le accomuna la parola ma il gesto, eppure l’esito è il medesimo, testimoniato da molti runner: “Quando corro non penso a niente” “Quando corro mi vengono molte idee. Le metto in ordine e i problemi scompaiono. Penso solo a ciò che importa e improvvisamente ciò che è importante trova spazio nella mia mente”. Mai pensate queste cose correndo?

Può darsi.

Magari la corsa è già una specie di mantra. Magari funziona già perfettamente. Magari.
Magari provate a ripetere una parola, una frase, un verso di una canzone. Il mantra andrebbe  ripetuto in silenzio e in contemplazione e rigorosamente in sanscrito, ma questo è un esperimento, no?

Provate a correre e concentrarvi su una frase, ripetendola.

  • Un verso della canzone che avete appena ascoltato
  • Un augurio che fate a voi stessi (Ce la farò. La finisco questa corsa. Doccia! Doccia calda! Aranciata fredda!)
  • Un verso. Un suono.

L’importante è concentrarsi solo su quello. Ripeterlo finché non perde di significato, diventando un suono e nient’altro. Il risultato di un automatismo. Pensate a mettere una gamba davanti all’altra quando correte? No, vi viene naturale. Così è stato per ognuno quando ha imparato ad andare in bici o a guidare: all’inizio pare impossibile mettere assieme tutte quelle azioni così diverse, eppure.

Eppure gli automatismi diventano azioni che il cervello gestisce quasi senza processarle: controlla che avvengano conformemente e basta. Osserva e nota la deviazione, non la norma.
Si immerge in un fluido composto da movimento e pensiero. In armonia, all’unisono. Corro. Penso. Penso. Corro. Respiro. Corro.

Corro. Oh yeah.

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