Ci ho provato in tutti i modi a non scrivere io questo articolo. Perché già è difficile essere runner in un mondo di non runner, ma poi anche dovermi mettere dall’altra parte è davvero un’impresa che a parità, manco fare 3 maratone in un anno è più semplice.
Incuriosita dalle risposte e dai commenti che avevo visto girare dopo il pezzo della settimana scorsa (questo), mi sono fermata un secondo e ho capito che:
A) Evidentemente il runner, anche quello della domenica, è considerato maratoneta o deejaytenista (solo se abita a Milano) un po’ da tutti, fino ad un certo momento della sua vita (prime fasi di running)
B) Svanita la magia runner = “ah ma allora fai la maratona!?”, rimane ciò che credo ormai tutti conosciamo fin troppo bene: il sopracciglio alzato e la scossata di testa.
Il lato B
Avevo chiesto a un personaggio di spicco del mondo dei NON runner di assecondarmi in questo pezzo, ma d’altronde i vip sono vip e ha rifiutato. Ebbene mio babbo ha deciso di non collaborare alla stesura di ciò che state per leggere. Dopo il suo rifiuto, è arrivato inesorabile anche quello di mia madre, seppur per timidezza e una non troppa confidenza nelle sue qualità di scrittrice e raccontatrice.
Non mi sono data per vinta e anche se i soggetti mi hanno snobbata*, devo dire che in questi ultimi anni mi hanno fornito abbastanza materiale etnografico per potermela cavare da sola a trattare adeguatamente la questione.
Se siete ancora dalla mia parte, di figli/e, mi capirete benissimo.
Se siete consorti leggiadri come gazzelle, che amano infilarsi un paio di scarpe da running appena hanno 5′ di libertà programmata e provvisoria, so che ci troveremo in sintonia su certi sentimenti provati quando ci si sente giudicati da chi sta dall’altra parte.
Se siete genitori di runner, beh lasciatemi i vostri riferimenti che magari li giro ai miei e vi fate due chiacchiere di supporto psicologico.
Perché a questo punto della vita, raggiunta una certa età, l’unico grande mistero che si para davanti ai loro occhi, non è il sangue di san Gennaro che si liquefà ad ogni anno; non è il grande quesito “è nato prima l’uovo o la gallina?” (tra l’altro sempre attuale come questione e interessante quando non sai che cazzo raccontarti) e nemmeno il mistero della stringa numerica dentro al bunker di Lost.
L’unica cosa che si chiedono è: “Perché mia figlia corre come quel tizio in quel film che correva e non si fermava fino a che non glielo scrivevano a caratteri cubitali?” That’s the question. E non la sottovalutano mica per niente, eh?
E tu hai voglia di raccontare il romanticismo che trovi nell’atto della corsa. Il riappacificarti con la natura, il riprendere possesso del tuo corpo, lasciare lo stress via, lontano … Ricami parole, ti elevi quasi ad essere uno spirito superiore. Ma poi loro arrivano al dunque, ti guardano, alzano il sopracciglio e ti dicono: “Beh ma non puoi andare a stenderti fuori nel prato?”.
Quindi provi l’altra strada, quella più seria e professionista. Quella che dai, diciamocelo, ci piace un pochino. Corro perché sono un’atleta, mi alleno per arrivare al risultato, fare la maratona che è una gara anche storica, sai 42km il tragitto corso da Filippide che andava da Marat … “Allora quest’estate quando c’è traffico, non ti lamentare poi mica eh, te che vuoi sempre tornare in macchina invece che in treno! Che tanto Bologna – Faenza son poi quei km lì, più o meno, puoi sempre farteli di corsa”. Ehm sì, certo babbo, con 42 gradi per l’A14, qualche milione di italiani sclerati che vanno in ferie e lo zainetto a forma di panda in spalla. Quasi quasi riconsegno il telepass.
A questo punto rimane la strada del divertimento. Perchéin fondo vai a correre e conosci gente, se vai a fare delle gare all’estero fai anche la turista, scopri il mondo. Qui, devo dire, l’appoggio parentale mi sostiene (dopo una scossata di testa e un sorrisino mezzo compiaciuto). Ma giustamente arriva la mannaia più saggia e anziana della famiglia, che si abbatte sulla mia predicazione pro running. Il verbo della nonna è micidiale: “Beh, m’è degh! T’a veh a’fè d’la fadiga? Mo n’avi abasta? T’avi neca d’à paghè? Me dègh, me dègh … fati robi, cì mata!” [trad: “Io dico…! Vai a fare della fatica? Ma non ne hai abbastanza? Devi ANCHE pagare? Io dico, io dico … fatte robe, te sei matta!” Questa traduzione in italiano di un dialetto romagnolo mal scritto (colpa mia, che preferisco correre più che imparare il dialetto), sancisce il succo di un mondo, dove i runner possono essere solo compagni di merende di Jack Nicholson in “Qualcuno volò sul nido del cuculo”.
Masochisti quando escono a correre sotto la pioggia o la neve, oppure, quando va peggio, visti come dei tuonati assoluti, soggetti che agli occhi della società non hanno trovato il giusto equilibrio tra riposo e attività quotidiane, posseduti da un male oscuro che è all’origine (forse) del Ballo di San Vito.
Insomma, siamo dei casi irrecuperabili, ma d’altronde, come non ci si può volere bene?
Secondo me saremmo quasi da adottare.
*un po’ come quando parlo di corsa, del resto: il loro timpano ormai è addestrato come un cecchino e va in modalità OFF appena sentono la parola in questione e derivati uscirmi dalle bocca. Probabilmente leggono anche nel pensiero e mi anticipano, maledizione.
(Photo from Flickr – The Commons Project)
Mio padre che ormai da un anno e mezzo mi accompagna/raccoglie col cucchiaino alle gare sostiene che corro una maratona ogni domenica…annuisco in presenza di altri, spiegare sarebbe inutile. Se dei “non runner” chiedono degli allenamenti rispondo:” corro molto” e sono felici, quando sono stato più specifico mi guardavano come se fossi sociopatico….alla fine peró a noi runner ci piace, ci fa sentire un pó speciali :P
Eheheh beh è bello che tuo padre venga a raccoglierti ogni domenica. A me il mio non gli passa proprio per l’anticamera di aspettarmi in fondo a una maratona. A meno che non vada molto lontano a farla. E magari minacci anche di non tornare viva :)
cmq sì, bello sentirsi un po’ speciali.
:) posso dirti che tua nonna ci ha visto lungo?! ;) wise girl!