Perché in fondo corriamo con le gambe

C’è questa frase che da qualche chilometro continua a girmi in testa a ciclo continuo “corri-solo-con-le-gambe- corri-solo-con-le-gambe” ma ne prendo coscienza solo adesso che sono più o meno al decimo chilometro della frazione run di questo Ironman Pays d’Aix 70.3 2013.

I crampi addominali che mi accompagnano dal momento in cui sono saltato sulla bici, più o meno quattro ore fa, non concedono tregua, accentuati dalle variazioni di pendenza del percorso che attraversa il centro di Aix en Provence. Ogni passo è una fitta che mozza il respiro e così mi rendo conto che in maniera del tutto autonoma la testa ha elaborato questa strategia: in fondo la pancia non mi serve per correre, sono le gambe che devono stare bene, il resto non conta.

Mi rimane davanti poco meno di un’ora di gara, le opzioni sono due: ubbidisco all’istinto e mi fermo oppure elaboro una strategia per provare almeno a rendere accettabile la situazione. Metto subito via la conclusione “non-mi-pagano-mica-per-soffrire-così” solo perché con molto sforzo vado a ripescare tutte le eccellenti ragioni per cui sto correndo.

Per la prima volta da quando faccio triathlon ho forato in bici, quando mancavano 15 km al termine della frazione. Ho avuto quel tanto di lucidità necessaria a provare a riparare la gomma e non a cambiarla (ero quasi arrivato e ho fatto un semplice calcolo costi/benefici). Se ho superato questo scoglio, mi dico, mica posso mollare adesso, che il destino di questa gara sta tutto nei miei muscoli e nella mia testa. E’ così che mi invento un cambio di strategia: niente più solidi (pieni degli zuccheri di cui il mio fegato è affamato) e passaggio alla sola alimentazione liquida “acqua-cocacola-acqua” più 1/6 di banana a metà gara per governare il casino che sta avvenendo nella mia pancia.

Anche il mantra funziona, spostando l’attenzione dalla parte dolente a quella che mi serve davvero per avanzare riesco a terminare il quarto mezzo Ironman dell’anno anche se con un tempo più alto di quanto avrei voluto. Poco importa, l’esperienza intascata su queste colline francesi la chiudo dentro le valigie per la Florida con la consapevolezza di avere (quasi) tutto quello che serve ad affrontare la grande sfida.

Sorrido mentre passo sotto il traguardo, non per il piazzamento e neanche perché tutto sommato sono ancora fresco. Sorrido sornione perché oggi ho superato una prova più complicata che correre per 5 ore e 45 minuti.

Ho imparato che nella vita non possiamo tenere tutto sotto controllo (una ruota bucata mi sempre una bella metafora) e ahinoi, per raggiungere certi traguardi non possiamo prendere scorciatoie o eliminare la sofferenza (anche un mal di pancia di 7 ore è una metafora, meno bella magari). Rimane però sempre nelle nostre mani la scelta di cosa fare in mezzo alla tempesta, se attraversarla o girarle le spalle.

Di solito dall’altra parte splende il sole. Le nostre gambe ci possono portare in posti bellissimi.

(Photo credit: Patrizia Habarta)

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