Dopo il 70.3 di Volano speravo di poter tornare finalmente a pieno regime con gli allenamenti e invece non è andata proprio così. Al termine della gara non ho avuto problemi alla caviglia destra (guarita quindi complessivamente dalla tendinite in cinque settimane) ma me ne sono spuntati a quella sinistra. Probabilmente offesa dall’eccessiva attenzione data alla sorella la stronzetta, si fa sentire soprattutto dopo ripetute particolarmente impegnative sia in bici che a piedi.
Devo dosare con cura carico e scarico quando pianifico doppi (allenamento mattino – sera nella stessa giornata) e combinati ( sequenze bici – corsa senza soluzione di continuità). Mi sto abituando a non spremermi sempre completamente, e lo terrò ben a mente il 2 novembre quando dopo più o meno 8 ore di gara già alle spalle e una maratona da affrontare conteranno solo la testa e la capacità di gestire le energie in modo intelligente. Non è solo un trucchetto per evitare di deprimersi per un piccolo infortunio, il nocciolo della questione sta tutto nel capire che la parte più difficile nella preparazione di un Ironman è la resistenza mentale, non tanto quella fisica né tanto meno la pure prestazione muscolare. Vale per l’IM come per un diecimila, secondo me.
Il combinato: croce e delizia dell’allenamento triathlon
Nonostante gli acciacchi sono comunque entrato in modalità “carico pesante”: la routine prevede 6 allenamenti a settimana con un paio di sessioni di nuoto mai inferiori ai 3k, due o anche tre uscite a settimana in bici (progressioni in pianura, ripetute in salita e lunghissimi), una o due corse (variazioni di ritmo dai 15 ai 20 k per volta, a velocità comprese tra quelle dei cinquemila fino alla mezza maratona) e un combinato lungo.
La particolare attenzione che devo riservare a nuoto e bici (siccome sono scarsissimo), mi risparmia dai tormenti della corsa di cui una al termine del lunghissimo in bicicletta (minimo 3 ore in sella). Mi sento di direi che la transizione bici-corsa è l’aspetto più difficile del triathlon, che necessita tantissima pratica per essere metabolizzata dal corpo costretto a far lavorare quasi in contemporanea muscoli antagonisti.
Scendere dalla bici e iniziare a correre genera nel cervello la classica domanda “che cavolo stai facendo Willis?” (ve lo ricordate “Il mio amico Arnold”, ecco, proprio con quella faccia lì) e prima di cominciare a deambulare decentemente servono almeno un paio di chilometri. A parte non fermarsi e mandare a quel paese il triathlon, in quel momento è importante tenere bassi i battiti del cuore, altrimenti è ritiro assicurato. Gli allenamenti combinati servono proprio ad insegnare al nostro organismo questo delicato passaggio. Sono impegnativi, richiedono un sacco di tempo e farli per bene è essenziale.
In riviera ma non per vacanza
È proprio come un combinato iperlungo che vedo avvicinarsi l’appuntamento con il mezzo IM di Rimini, tra due settimane, una gara che si preannuncia durissima per via del percorso bici proibitivo. Oltre 1300 metri di dislivello positivo, tre salite principali, molti strappi, un fondo disastroso e soprattutto gli ultimi 5 chilometri lungo mare, quasi sempre contro vento e con i numeri degli stabilimenti balneari a scandire la distanza dal traguardo ogni 50 metri: una tortura. Non ho aspettative se non terminare in condizioni fisiche decenti e senza strascichi nei giorni successivi. O meglio, al momento mi ripeto che sarà così ma già lo so che quando avrò pettorale e chip addosso mi si chiuderà la vena e cercherò semplicemente di dare il massimo. L’istinto è istinto.
Di certo c’è che sarà molto allenante e, cosa più importante, sarà l’occasione per riunire tanti amici e appassionati di questa disciplina che si divertiranno insieme. Se poi ci sarà il sole le pazienti mogli\fidanzate si godranno anche la spiaggia. Bisogna pensare anche all’armonia famigliare.