Mea culpa

Come esseri umani ce la caviamo benissimo a trovar giustificazioni per i nostri fallimenti. Generalmente non dipendono mai da noi: se falliamo nel lavoro, nello sport, nei rapporti umani è sempre colpa di qualche fattore umano o meno che sfugge al nostro controllo.

O ci piacerebbe che lo fosse.

Una bellissima metafora

Oggi correvo (sai che novità) e pensavo che la corsa è proprio una perfetta metafora della vita: non nel senso del percorso, della difficoltà, della redenzione e della vittoria. È una metafora di come dovrebbe essere la vita: dove tutto dipende da noi stessi, come è nella realtà poi.

Nella corsa non te la puoi prendere con nessuno se perdi o se stai correndo da far schifo: per correre servi tu e basti tu. Se vai forte è un tuo merito, se fai schifo è un tuo demerito. Fine. C’è un altro sport più democratico e umano? Se giochi a tennis o a calcio puoi prendertela con la racchetta o con l’arbitro. O col tifo. O con il tempo. Con quel che vuoi. Ma se corri non te la puoi prendere con nessuno se non con te stesso/a. Con le scarpe? Dai, potresti correre anche senza, c’è chi lo fa.

La 25a ora

Nel film “La 25a ora” di Spike Lee c’è un famoso monologo: quello del “Fanculo”: il protagonista Monty Brogran per più di 4 minuti manda affanculo tutta New York e i suoi abitanti. Dà la colpa del suo fallimento esistenziale a chiunque, elevandosi a diverso da loro, qualcosa di meglio. Fino al finale: dopo un crescendo di offese e accuse a ogni categoria sociale Monty giunge alla conclusione: “Affanculo a te Monty Brogran: avevi tutto e l’hai buttato via”.  La 25a ora non esiste: è una metafora di un’ora che non esiste, di un giorno che non può essere. Ma che siamo artefici del nostro destino è una verità, e la corsa ce lo dimostra ogni volta che corriamo.

Forte fuori, calmo dentro

Un aspetto che mi emoziona sempre nel maratoneta è la differenza che c’è fra quello che esprime con il gesto atletico e la tensione mentale che ci vuole per raggiungerlo: esternamente dimostra una forza fisica disumana, la rappresentazione visibile della resistenza oltre ogni limite. Internamente è un freddo calcolatore o meglio: uno o una che sa valutare con freddezza ed efficienza la strategia da adottare per vincere o anche solo per arrivare alla fine. Misurare le forze. Calcolare le distanze. Aggiustare il passo. Vai.

All’ultima maratona di New York la vittoria femminile è andata a Priscah Jeptoo. Fino a oltre la metà della corsa era dietro la prima di più di 3 minuti. Cioè più di un chilometro. Cioè quasi non la vedeva là davanti. Eppure non si è data per vinta. Ha calcolato diversi parametri, ha capito che poteva farcela. Ha rimontato, l’ha superata, ha vinto.

Quanta determinazione ci vuole per farlo? Quanta freddezza? C’era davvero freddo quel giorno poi, avrebbe potuto prendersela con quello se non ce l’avesse fatta. Invece quando la realtà le diceva “Molla dai, non ce la puoi fare” la Jeptoo ha usato la sua calligrafia per scrivere come doveva essere la storia, quel giorno.

Dipende da te

Un mio personale mantra, oltre a “Birra!” per motivarmi durante la corsa, è “Non dipende da ciò che ti succede, ma da come lo affronti”. La vita è difficile, la nostra felicità dipende da tanti fattori, molti dei quali oltre il nostro controllo: ma come li affrontiamo dipende solo da noi. Se falliamo è solo un nostro problema. Non è ciò che è fuori dal nostro controllo che ha congiurato contro di noi ma noi che non abbiamo saputo affrontarlo con intelligenza e pazienza.
La corsa è proprio così: usare il nostro corpo per permettere alla mente di esprimere la sua capacità di adattarsi alle condizioni esterne, e facendolo di dominarle.
E quando stai bene dopo una corsa è perché, oltre alle endorfine che hai in circolo, la tua mente è gratificata: anche oggi ti ha spinto a portarla a fare un giro fuori dove ti ha dimostrato che le cose succedono e non ci puoi fare molto, ma puoi fare moltissimo per prenderle in un certo modo: quello giusto.

(Photo Credits “Confessions of a Superhero” by Matthew Ogens)

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