Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo la lettera di un’amica lettrice che è stata letteralmente salvata dalla corsa. Ecco come.
Fino a che un giorno non mi sono ritrovata in macchina a piangere.
E no, non manca un’introduzione, tutto è iniziato lì: quando sono scoppiata a piangere in macchina in una mattina di sole mentre andavo al lavoro. Da quel momento uscivo a fare la spesa, andavo dalla mia migliore amica, e mi ritrovavo in lacrime.
Un’altra cosa che mi capitava era vedere i miei polsi. Ho la carnagione molto chiara io. Chiudevo gli occhi e li vedevo esattamente così, come sono, bianchi quasi verdi perché la pelle trasparente lascia intravedere le vene al di sotto. La pelle trasparente e sottilissima, i polsi rivolti verso l’alto in gesto di offerta, nel cervello la mia voce chiedeva “Volete anche il sangue?!”. Non so a chi lo chiedessi, ma so che lo intendevo davvero.
E un’altra cosa che facevo in quel periodo erano le liste. Le liste mentali delle cose belle che avevo e per via delle quali non potevo permettermi di essere triste. Le ricordo ancora: ho un ragazzo che mi ama, delle amiche vere, ho quasi finito l’università, ho un lavoro, non ho tanti soldi ma la mia famiglia è pronta ad aiutarmi, ho una famiglia che mi ama, non mi manca niente, non mi manca niente, non mi manca niente. E scoppiavo a piangere come se non ci fosse un barlume di speranza nel mondo, come se avessi appena ricevuto la peggiore delle notizie, come se mi fosse appena successo qualcosa di terribile. Quindi piangevo ancora di più, perché non mi mancava niente per davvero, ma non riuscivo ad essere felice. E mi sentivo ingrata.
Un’altra cosa, ancora, che mi succedeva all’epoca erano gli attacchi di panico. All’improvviso il mondo diventava crudo, struccato, freddissimo, verissimo e agghiacciante, mi si seccava la bocca, sudavo, sentivo una fitta al cuore mentre vedevo con chiarezza quanto tutto fosse inutile.
Non ne parlavo con nessuno. Avevo paura di quello che avrebbero pensato di me, avevo paura soprattutto che avrebbero pensato che ero una stupida, perché avevo tutto e ciononostante mi permettevo di essere triste. Avevo anche paura che qualcuno mi dicesse che era grave. E poi avevo l’impressione che non stesse bene parlarne: quella mia tristezza non si toccava, esisteva solo nella mia testa e tutti, tutti mi sembravano avere problemi più reali e gravi del mio. Ero convinta che la mia depressione fosse colpa mia.
Poi ho finito l’università. Alla discussione della mia tesi c’erano tante persone: i miei amici, il mio ragazzo e persino la mia famiglia. Quel giorno non ho pianto, ma il giorno dopo sì: speravo che, scomparsa la causa della mia ansia, anch’essa sarebbe scomparsa, invece non era cambiato niente. Anche se non volevo riflettere sulla mia vita, sapevo che dopo la laurea dovevo iniziare a pensare seriamente al futuro. Mi sono posta la domanda di cosa volessi per me stessa solo per senso del dovere e mi sono data la stessa risposta che da anni, meccanicamente, mi davo.
Volevo andare a vivere nella città in cui avevo fatto l’erasmus. E ci sono andata, per inerzia, senza pensare troppo, perché non avevo la forza o la voglia di prendere una decisione. Una volta partita ho iniziato a stare peggio. Soffrivo tantissimo per essermi allontanata con le mie mani dalle persone che mi volevano bene. Soffrivo tantissimo perché le sentivo tutti i giorni e anche se mi raccontavano di essere andate solo a prendere un gelato, quel gelato mi sembrava tutto quello che una persona poteva sognare al mondo. Soffrivo tantissimo perché da quando ero sola gli attacchi di panico erano aumentati, e perché mangiavo per sentirmi meglio e se fossi ingrassata sapevo che avrei iniziato a soffrire ancora di più.
Così, per non ingrassare, ho iniziato a correre.
E non sono ingrassata, anzi, ho perso sei chili. Ma il bello, il veramente bello, è che da quando ho iniziato a correre non ho più pianto senza motivo. Non vedo più i miei polsi rivolti verso l’alto, non devo farmi le liste delle cose che ho. Non sono più depressa. Con gli attacchi di panico devo ancora fare i conti, è vero, ma ogniqualvolta si fanno più frequenti o più insidiosi so che è ora di allacciare le scarpe e andare a correre.
Non so cosa sia, del correre, che mi ha salvato la vita. Di fronte alla mia sofferenza impalpabile e che non sapevo spiegare, forse, il male agli addominali, le gambe stanche, il respiro affannato, la voglia vera di fermarsi e la scelta consapevole di continuare a correre erano cose reali, cose reali e urgenti e vere che hanno saputo dissipare i fantasmi.
C.L.
(Photo credits Unsplash.com/Volkan Olmez)
Anch’io ho passato un periodo spiacevole non saprei dire se e’ depressione anche per me, mi sono ritrovato parecchio in quello che ha descritto la nostra amica. Ora non posso dire che quel periodo e’ passato però ogni volta che corro e quando finisco mi sento in pace con me stesso. Anche se durante la corsa sono stanco e affannato e sto correndo su una salita e mi maledico per quello che sto facendo però una volta finita la mia corsa mi sento un’altra persona. Semplicemente la corsa mi fa sentire meglio.
Amica… mi è sembrato di leggere la mia storia! Correre ti fa stare bene, come ha fatto stare bene me, impara a fare le cose che ti fanno stare bene, imponitelo! Ce lo dobbiamo, per noi e per chi ci sta vicino.
A chi mi chiede perché lo faccio rispondo sempre: “perché quando lo faccio mi sento veramente libero, da ogni pensiero negativo e da ogni problema che prima mi sembrava insormontabile, e perché in quel momento faccio qualcosa per me stesso che si riflette nel mio atteggiamento verso gli altri”.
Non dobbiamo più appuntarci i motivi per cui essere grati, lo siamo e basta. Con tutti gli alti e bassi che la vita regala.
Ciao!
Credo che tutto questo che hai scritto abbia a che fare con la libertà. Conosco bene quello che hai descritto, avevo smesso quasi di mangiare e gli attacchi di panico erano continui. Non dormivo quasi più. Niente era importante, tanto che mi chiedevo se fossi morto domani cosa avrei perso. La risposta era sempre la stessa: nulla!
Ancora non so se ne sia uscito, so che a distanza di tempo ho cercato di capire a mente fredda che cosa mancasse. E penso fosse il senso di libertà, sentirsi ingabbiati negli impegni presi, nel futuro già programmato, nel proprio presente. Venivo da un lutto che mi ha destabilizzato, mi ha chiuso tutte le finestre sul mondo, ha cambiato il senso che davo al tempo. Che è diventato pesante, interminabile. Come i miei pianti. Non mi ha salvato la corsa, che però avevo smesso di praticare. Mi ha salvato il mettermi in movimento e cercare la libertà. La mia libertà.
Condivido questo racconto vissuto in prima persona e posso sentire le sensazioni correre mi aiuta a sentirmi piu forte ogni volta che esco a correre spero sempre di avere la forza di costringermi ad uscire di casa per essere piu forte diciamo pure che con 4 viti e una staffa nella schiena e stata ancora piu dura e lo e ogni giorno poter superare momenti bui ma siamo guerriere non ci si arrende perché i runner sono donne toste come nella vita e dio vegli su di noi