“Tutte le ragazze alla spunta” urla qualcuno dal microfono. Probabilmente è un giudice. La tensione è palpabile, ma per cercare di stemperare un po’ il clima si ride, si chiacchiera e si fa qualche battuta.
Osservo le mie avversarie. Cerco di cogliere qualche segnale che mi faccia capire se sono più o meno tese. Qualcuna ride, qualcuna fa i suoi soliti esercizi di stretching, qualcun altra è seduta in disparte già pronta a partire. Ognuno si concentra a modo suo.
È l’ora della spunta.
Tutte in ordine in fila indiana, passiamo sulla pedana. È un susseguirsi di BIIIP scanditi dal numero e dal nome. Ormai siamo tutte dei numeri. Tutte uguali su quella linea di partenza e tutte pronte a darci battaglia per ritagliarci un posto nella storia.
Finalmente, siamo tutte allineate.
Manca un minuto.
Musica.
Sempre quella. Sempre la stessa canzone.
Chi ha scritto la colonna sonora dei Pirati dei Caraibi sarà ormai miliardario…
30 secondi, ci fa segno il giudice di partenza.
Il cuore batte sempre più forte. La musica ormai è solo un ronzio lontano. Il respiro rallenta. Sento ogni fibra del mio corpo tendersi, pronta a lanciarsi in acqua per ingaggiare anche questa battaglia.
ON YOUR MARKS!
*suono di tromba*
Finalmente si parte.
Quella frazione di secondo tra l'”on your marks” e il via sembra sempre infinito.
In quel momento tutto si ferma. Tutto sembra congelato. Il silenzio prima del suono della tromba è assordante. Nessuno fiata, nessuno respira. Anche il cuore sembra fermarsi. Poi, improvvisamente, tutto ricomincia, più veloce e frenetico come le prime bracciate di ogni gara.
Hai mai pensato a quanto possano essere infiniti certi istanti?
Gli ultimi 100m di una gara per esempio. Quei dannatissimi 20” che ti separano dal traguardo e dall’avversario che hai lì davanti. Si tratta SOLAMENTE di fare uno scatto, raggiungerlo e vincere la tua personale sfida. Quante volte avrai fatto 20” di scatto in allenamento? La tua testa ti convince ce la fai. Le tue gambe sono un po’ meno d’accordo, ma ci provi lo stesso. Ti sembra però di correre al rallentatore e i secondi sembrano non passare mai.
Oppure quante volte ti è capitato di stare in giro in bici 3h e non accorgerti nemmeno del tempo che passava?
Il tempo è un animale strano.
Quando sei giovane e gareggi per vincere sembra sempre sia tuo nemico. Cerchi di correre sempre più forte di lui, lo sfidi, cerchi di batterlo e di “andare sotto un certo tempo” per sentirti all’altezza ed essere più forte dei tuoi diretti avversari. A volte vinci e sei contento. Spesso vince lui e ti costringe a rimetterti sotto e lavorare per raggiungere il tuo obiettivo.
Poi cresci. Inizi a capirlo e a conoscerlo. Il tempo non è più qualcosa da battere, una mera prestazione sportiva, ma un compagno di viaggio. Non ti preoccupi più di correre il lento sotto i 4’30” al km, ma ti piace correre e basta. Possibilmente il più a lungo possibile.
Forse è così che si impara ad apprezzare le gare lunghe.
Adesso io e il mio tempo abbiamo un rapporto un po’ conflittuale. Stiamo ancora decidendo chi vincerà tra la prestazione e la durata.
Comunque continuo a sostenere che sia meglio soffrire 1 o, al massimo, 2 ore in modo molto intenso, che soffrire mediamente molto a lungo.
Tu invece?