Fra i tanti parametri fisici che è utile conoscere e che ci aiutano a comprendere meglio il nostro corpo e a migliorarlo attraverso l’attività fisica, il livello di ossigenazione del sangue è uno dei più “nuovi”. Non perché lo sia in senso assoluto: nel campo medico infatti la percentuale di ossigeno nel sangue è un fattore costantemente monitorato da tantissimo tempo, poiché è legato a parametri di benessere o malessere: per semplicità basti sapere che più alta è l’ossigenazione, migliore è lo stato di salute e viceversa.
Il suo monitoraggio è stato reso più semplice negli ultimi anni poiché lo si può fare anche senza l’ausilio medico grazie a semplici strumenti detti pulsossimetri (una specie di clip con cui pinzare il dito indice) che in pochissimo tempo, grazie all’utilizzo di una luce infrarossa, riescono a leggere otticamente questo parametro osservando la rifrazione dell’ossigeno nel sangue.
Da qualche tempo anche alcuni modelli di sportwatch possiedono questa funzione e, come scopriremo fra poco, c’è un motivo specifico, oltre a quello ovvio del provvedere a fornire un parametro importante.

A cosa serve l’ossigenazione del sangue e perché è importante monitorarla?
L’ossigeno si lega nel sangue all’emoglobina e funziona come “vagoni” di un treno, trasportandola ai tessuti muscolari. Ecco – molto semplicemente – spiegato perché è importante che il tuo sangue sia adeguatamente ossigenato: meglio lo è, migliori saranno le condizioni in cui i tuoi muscoli opereranno, potendo fare affidamento sui più completi approvvigionamenti di energia per sopportare e superare lo sforzo.
Un individuo adulto ha mediamente bisogno di 550 litri di ossigeno al giorno. In caso di attività fisica blanda o media, la percentuale di ossigeno nel sangue non varia sensibilmente. In caso di attività intensa invece questo parametro si abbassa ed è corretto tenerlo sotto controllo. Altrettanto capita anche ai trail runner, specie quelli che si allenano e gareggiano ad alte quote: è noto infatti che diminuendo la percentuale di ossigeno nell’aria all’aumentare dell’altitudine, anche quella nel sangue diminuisce, sottoponendo il sistema muscolare a uno sforzo aggiuntivo. Proprio questa particolare condizione “ambientale” è sfruttata, come vedremo, dagli ultratrail runner per lavorare e migliorare la propria resistenza, come ha raccontato Kilian Jornet in una recente intervista al podcast The Extramilest Show.
Il valore di ossigenazione del sangue fornito dal pulsossimetro è chiamato Sp02 e gli intervalli in cui varia sono definiti normali o bassi a seconda della percentuale rilevata: tra 95 e 100 l’ossigenazione è normale, mentre al di sotto di tale soglia e fino a 90 indica una condizione di lieve o accentuata carenza di ossigeno detta “ipossiemia“.
Ora che conosci la tua percentuale di ossigeno nel sangue cosa ci puoi fare? Ecco alcuni casi pratici. Tieni sempre in considerazione che questo parametro varia molto più lentamente del battito cardiaco, quindi le sue letture forniscono indicazioni da interpretare (ed eventualmente correggere) agendo più a monte e meno nell’immediato. Non si tratta insomma di variare l’andatura di corsa :)
Nel recupero
La saturazione di ossigeno nel sangue può fornire importanti indicazioni di allenamento (o di recupero) per gli atleti. Poniamo il caso che tu stia seguendo un programma di allenamento ma che al contempo tu senta più del solito la stanchezza. Se la tua saturazione è al di sotto della media è importante modificare il piano di allenamento introducendo una o due giornate di recupero invece che insistere nello sforzo fisico, cosa che potrebbe ulteriormente compromettere le tue condizioni fisiche. Molto probabilmente la tua spossatezza è dovuta a fattori esterni o a un insufficiente recupero dovuto a difficoltà a dormire: fermarsi e riposare è la soluzione e il pulsossimetro può aiutarti a decidere, eliminando ogni dubbio.
Nell’acclimatazione
Come detto prima, in alta quota la percentuale di ossigeno nell’aria è minore che a livello del mare. A quest’ultima quota è infatti pari al 21% mentre oltre i 3000 metri scende al 15%. Con quali conseguenze? Un maggior affaticamento ad allenarsi e a sopportare lo sforzo fisico, principalmente, ma anche qualche vantaggio, tanto che ad allenarsi in quota non sono solo i trail runner ma anche gli atleti “stradali”.
Cosa comporta l’allenamento in quota e la riduzione della saturazione? Che il cuore e il respiro cresceranno in frequenza e che il volume di plasma pompato aumentarà per sopperire alla carenza di ossigeno e trasportarne comunque il più possibile ai muscoli. Il risultato fisico più immediato non è dei più entusiasmanti: fatica e allenamenti sotto l’usuale soglia, tanto che nei primi giorni in quota è ragionevole diminuire il carico di lavoro.
È dopo però che succede qualcosa. Più il corpo si adatta, più aumenta la produzione di globuli rossi e il volume di emoglobina, sino ad arrivare dopo circa 4 settimane (ma già dalla seconda settimana in poi) a una stabilizzazione del respiro e del battito cardiaco. Cosa significa una volta che tornerai a correre in piano? Che il tuo cuore lavorerà a ritmi normali ma trasportando sangue più ricco di ossigeno, permettendoti una specie di marcia in più a normali regimi. Se tu fossi una macchina insomma, è come se potessi usare un carburante più performante che ti fa correre più forte, senza per questo far girare più velocemente il tuo motore. A parità di sforzo, in altre parole, otterresti una prestazione migliore.
Va anche detto che queste variazioni positive di prestazioni non sono comuni a tutti gli atleti e che i benefici in piano hanno una durata variabile ma non infinita, tanto che gli atleti professionisti – specie nel ciclismo, nel podismo e nel trailrunning, nonché ovviamente nell’alpinismo – ripetono sessioni di allenamento in quota ogni anno.
Alcuni trail runner – come il già citato Kilian Jornet – seguono programmi di allenamento che prevedono sessioni di deprivazione di ossigeno. Nel caso specifico, lo scopo dell’abbassamento della saturazione è quello di aumentare la resistenza, specie alle alte quote (dove usualmente gareggiano). Gli studi in questo campo – che considerano anche l’utilizzo dell’apnea per aumentare l’emoglobina nel sangue – sono ancora a uno stadio preliminare e, per ora, non sembrano aver dimostrato aumenti di prestazioni in termini di resistenza e velocità ma quasi sicuramente di resistenza alle basse temperature, condizione che può essere molto interessante per gli ultratrail runner.
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