Una lettera d’amore (al corpo)

Al nostro corpo chiediamo efficienza, sforzo e fatica ogni giorno. Oggi lo ringraziamo, perché non è scontato

Questa è una lettera d’amore o di riconoscenza. La scrivo io ma è come se la scrivesse la mia mente, che sono poi sempre io, insomma. La scrive anche, se volete, il cervello, che contiene la mente. Vabbè, ci siamo capiti. La scrive la mente al corpo.

Non ti ho mai ringraziato abbastanza o forse non ti ho mai ringraziato e basta: grazie perché se esisto, in un certo senso, lo devo a te. In molti sensi a dire la verità. Normalmente sono così presuntuosa che penso di poter esistere a prescindere dal resto del corpo, non me ne curo, non mi pongo il problema di cosa sono fatta. Sono puro pensiero, sono immateriale. Almeno mi piace crederlo o non lo credo nemmeno: lo do per scontato.

Poi un giorno mi sono fermata un attimo a pensare. Avevo un attimo, ero ferma (io, la mente) in attesa di un aereo. Assonnata per l’orario, annoiata per l’attesa, senza aver voglia di far altro che guardare un punto nel vuoto, sulla pista bagnata dalla pioggia. A quel punto si è fatto largo un pensiero: sono qui grazie al mio corpo, mi ci ha portato lui.
Poi ho immaginato che il corpo non fosse altro (cosa che è, anche) una grande struttura che regge un cervello – che pensa di essere tutto e di capire tutto – e lo porta in giro. Il corpo è un servitore della mente. O meglio: il corpo e il cervello sono servitori della mente, il corpo fa, il cervello si cura che il corpo faccia e la mente pensa di sé di esser tutto e di non aver bisogno dell’altro.

Insomma, una mattina aspettando un aereo – dicevo – un pensiero nasce. Anzi, una constatazione: senza di te, di voi, di loro (corpo e cervello) io, mente, non me ne andrei mai in giro, non potrei fare molto.

Grazie

Questa è una lettera d’amore per dire grazie, per dire che alla fine ho capito che fate un lavoro silenzioso, che vi lamentate poco o niente (ogni tanto ma raramente), che si vede il peso della gravità e dell’età su di voi eppure funzionate sempre, facendo gli scongiuri insomma, siete molto efficienti.
Io vi ripago con la mia alterigia, dicendovi “Mens sana in corpore sano” e alla fine se mi alleno (cioè, se alleno il corpo che mi porta in giro e ospita) è sia perché una macchina va oliata, controllata, aggiustata, pulita e tenuta in ordine, sia perché il benessere che me ne deriva beneficia più me che te, corpo. Dopo un allenamento tu sei indolenzito e dolorante, io sono tonica, felice, giuliva. Mi pare di darti molto meno di quanto mi dia tu, insomma.
E me ne dispiace perché è giusto riconoscerti i meriti e anche perché mi pare che alla fine tu ti prenda solo gli oneri e non gli onori: fatichi, invecchi, deperisci (salvo essere anche splendente, dopo aver fatto fatica) e tutto per darmi benessere e mantenermi plastica, scattante, energica e creativa.

Alla fine credo che quel pensiero matuttino in attesa di un aereo me l’abbia mandato tu. Non era firmato ma era abbastanza evidente che proveniva da te. Non critico eh, hai fatto benissimo, ci voleva. Doveva apparirmi nella mente quella notifica (fra le decine sul cellulare) che diceva “Ricordati che sei qui grazie a me. Non voglio fartelo pesare, voglio solo fartelo notare”. Ho notato: non c’è altro modo di dirlo perché è così e basta: se posso correre, lavorare, dormire, leggere, scrivere, camminare, fotografare, mangiare, amare, litigare, svegliarmi, guidare, guardare e poi prendere un aereo è perché, indiscutibilmente, tu me lo permetti, caro corpo.

Quindi grazie, e stammi bene. Anche perché se tu non stessi bene sarebbe un notevole problema, per te ma anche per me.
Come dicono gli inglesi, “We’re in this together”, che è un po’ come dire “Siamo sulla stessa barca”. E la barca sei tu, mi sa. Io al massimo decido dove andare ma come arrivarci e chi mi ci porta spetta a te. Grazie.

(Credits immagine principale: Te9l on DepositPhotos.com)

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