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Nel 1999, Keith e Kevin Hanson hanno avviato un progetto per aiutare giovani corridori post-universitari a raggiungere il loro potenziale, rivitalizzando la scena delle maratone negli Stati Uniti.
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Il metodo Hanson privilegia la qualità sulla quantità nella corsa su lunga distanza, utilizzando il Simulatore Hanson per simulazioni di allenamento specifiche per le gare.
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L’approccio funziona sia per la corsa su strada che per quella su sentiero, enfatizzando il recupero adeguato, lo stress muscolare specifico e la gestione della fatica neuromuscolare.
Nel 1999, Keith e Kevin Hanson hanno avviato l’Hansons’ Distance Project con un semplice obiettivo: aiutare i giovani corridori appena usciti dal college a raggiungere il loro potenziale. Con il loro contribuito è stata inaugurata una nuova età dell’oro della maratona statunitense. Nei due decenni successivi dall’inizio del progetto si è assistito a una rinascita degli Stati Uniti sulla scena internazionale. Il loro libro, Hansons Marathon Method, scritto con Luke Humphrey, ha diffuso il loro approccio alla corsa anche ai corridori non professionisti, aiutando migliaia di atleti a migliorarsi.
La simulazione secondo il metodo Hanson
Il metodo degli Hanson pone l’enfasi sulla qualità rispetto alla quantità nelle corse su lunga distanza. Il loro cavallo di battaglia è l’allenamento conosciuto come l’Hanson Simulator. A tre o quattro settimane dalla maratona prescelta, l’atleta si cimenta in una prova generale che consiste nel correre circa 26 chilometri a ritmo gara su un tracciato simile a quello che affronterà il giorno della maratona. Con un breve riscaldamento iniziale e un defaticamento finale, il chilometraggio complessivo dell’allenamento deve ammontare a circa 28/32 chilometri. L’enfasi è posta non tanto sulla distanza ma sul passo medio da tenere per tutto il chilometraggio previsto.
Alcuni atleti professionisti possono anche optare per allenamenti più lunghi, mentre per gli amatori questa è di solito la prova più lunga.
La teoria
La teoria è che gli allenamenti di lunga distanza siano più efficaci se prevedono dei lavori di qualità al loro interno. Gli atleti riusciranno ad affrontare meglio lo sforzo con un minor rischio di incorrere in infortuni dovuti a un eccessivo volume di chilometri corsi secondo una diversa strategia.
Renato Canova, uno degli allenatori di maratona più affermati della storia, ha un approccio simile sull’intensità da tenere nelle corse lunghe, prevedendo molte lunghe progressioni al loro interno e un lavoro di ritmo specifico, includendo nella programmazione di tanto in tanto anche degli sforzi di over-distance.
Un unico approccio per ogni terreno
Anche su terreni diversi L ’approccio non cambia.
All’inizio la correlazione tra corse su strada e trail running non è stata immediata. Il legame è stato sancito dopo aver esaminato i dati. Con il tempo sembrava esserci un’evoluzione convergente con approcci che funzionano sia per i maratoneti che per gli ultramaratoneti.
Ai trail runner vengono fatti correre lunghi che generalmente sono meno lunghi di altri approcci ultra, ma viene richiesta una maggiore intensità della corsa. Così facendo si consente a questi atleti di arrivare ugualmente pronti alla gara pur avendo accumulato un volume di chilometri di allenamento complessivo inferiore rispetto agli altri partenti.
Il volume di allenamento settimanale va calibrato in base alla persona e agli obiettivi che ci si pone. Oltre alle ore di allenamento non si può prescindere dallo stress causato dalla vita di tutti i giorni e dalla possibilità di riposo e recupero che l’individuo ha a disposizione. Deve essere sempre tutto bilanciato. Nulla può essere trascurato. Il rischio è tirare troppo la corda e aumentare il rischio di incorrere in lesioni e infortuni.
Correlazione senza causalità
Non esiste una verità assoluta. Esistono diversi altri approcci che funzionano ugualmente. Che si affronti una maratona su strada o una ultramaratona in montagna, le strategie di adattamento allo sforzo messe in atto dal nostro corpo quando lo sottoponiamo a corse su lunga distanza, indipendentemente dal terreno, sono analoghe.
Tre sono gli adattamenti principali da non trascurare:
1. Recupero del glicogeno
Il corpo brucia glicogeno durante l’attività ad alta intensità, anche se in linea di massima la corsa in generale comporta un certo metabolismo del glicogeno. Di contro correre a bassa intensità coinvolge prevalentemente il metabolismo dei lipidi.
Quando iniziamo a sentire la fatica e pensiamo di essere prossimi a raggiungere il nostro limite di resistenza, quello è in realtà il momento in cui il loro corpo mette mano alle riserve di glicogeno.
Come fare per migliorare la resistenza tramite la disponibilità di glicogeno?
Se l’obiettivo è quello di migliorare la nostra performance in maratona allora dovrai puntare ad essere più veloce così da alzare l’asticella della soglia aerobica e riuscire ad abituare il tuo organismo ad attingere energia dalla combustione dei grassi anche ad alti livelli di sforzo.
Se gli atleti alzano il livello della soglia aerobica, vanno a intaccare meno i depositi di glicogeno durante l’attività.
Ci sono alcune teorie secondo cui lo stoccaggio delle riserve di glicogeno è almeno parzialmente allenabile attraverso strategie di adattamenti digestivi e metabolici. Un allenamento di lunga distanza affrontato ad alta intensità nella sua parte iniziale e centrale prevede un intenso metabolismo del glicogeno che va ad utilizzare le riserve, simulando una situazione di stress simile al giorno della gara. La successiva riduzione dell’intensità nella parte terminale dell’allenamento favorisce il recupero del glicogeno già durante l’attività e l’innalzamento della soglia aerobica.
2. Stress muscoloscheletrico specifico
Il processo di degrado del muscolo può danneggiare le prestazioni molto prima che si arrivi ad accusare dolore muscolare.
L’introduzione di stimoli più intensi di quelli che si sperimenteranno il giorno della gara può avere un effetto protettivo contro il crollo. Inoltre, combinati con cicli di allenamento intelligentemente programmati, potrebbero portare a migliorare il risultato attraverso adattamenti aerobici e muscoloscheletrici.
Questa strategia potrebbe non pagare nel breve periodo ma dare i suoi primi risultati nel corso del tempo.
3. Stanchezza neuromuscolare
Sforzi di una portata considerevole come lo sono le corse su lunga distanza introducono un grande stress neuromuscolare. Tuttavia quantificare l’entità esatta di quello stress è difficile.
Ci sono persone che, a differenza di altre, messe in determinate condizioni, possono contare su qualità che non possono essere spiegate solo dalla fisiologia.
Ad esempio, al Pennine Way, un trail di 431km che si snoda lungo i Monti Pennini nell’Inghilterra centro-settentrionale, John Kelly ha dovuto farei i conti con gravi problemi di stomaco e affaticamento che avrebbero fermato quasi chiunque altro al mondo. Com’è riuscito a proseguire? Nessuno lo sa con certezza. John probabilmente è nato con caratteristiche che ha affinato e potenziato con impegno e dedizione nel tempo.
Siamo tutti dotati della stessa carrozzeria di base. Il compito di ciascuno è renderla migliore per poterla sfruttare appieno.
(via womensrunning)