-
Immagina un mondo senza competizione e misurazioni, dove non esistono confronti di velocità, distanze o valutazioni tra le persone.
-
Il valore degli opposti: senza un criterio di misura, non potremmo valutare le cose spiacevoli, né quelle belle. Gli opposti creano valore e significato nelle nostre esperienze.
-
La competizione ha origini ancestrali e deriva dal desiderio di essere più forti degli altri per garantirsi la sopravvivenza. Questo istinto è ancora presente in noi, anche se in forme diverse.
Facciamo un gioco: improvvisamente non esiste più la competizione, le gare non decidono classifiche, non esistono graduatorie perché nessuno è peggio o meglio di nessun altro.
Mancano insomma i termini di paragone.
Meglio ancora: non esistono più le metriche: i tempi, le distanze, le velocità.
Stiamo ragionando per assurdo ma, spesso, farlo aiuta a capire il valore di ciò che diamo per scontato e ci fa immaginare quanto tutto sarebbe diverso se un piccolo dettaglio cambiasse. Ok: che non esistano più metriche non è un “piccolo dettaglio” ma seguimi un po’ in questa camminata nell’assurdo, ti prometto che non ci annoieremo.
Un’idea
Il tutto è nato da un’idea del sempre ottimo Barry Fralick:
Cosa succede quando le metriche scompaiono?
Per esempio, una doccia calda sarebbe incredibilmente bella se non ne avessimo mai provata una gelida?
Come si potrebbe essere ricchi se non ci fossero poveri?
Ci sarebbe urgenza di vivere se non ci fosse la morte?
Se non ci fossero le cose brutte, non ci sarebbe il bene. Sono le cose spiacevoli della vita che ci permettono di apprezzare i momenti più belli.
Già: cosa succederebbe se non solo scomparissero le metriche ma anche, più in generale, qualsiasi termine di paragone? Non solo non avrebbe più senso misurarsi ma non esisterebbero più gli opposti: non ci sarebbero le persone più veloci né quelle più lente, non ci sarebbero il caldo e il freddo, non ci sarebbe il bello o il brutto. Il fatto è che abbiamo bisogno degli opposti per dare un valore alle cose perché niente ha un valore assoluto e tutto deve essere misurato in relazione a qualcosa di diverso.
A questo punto potresti pensare “Ma se si corre per correre senza preparare gare lo si fa già escludendo la competizione e il paragone”. In un certo senso è vero e si tratta del senso più puro della corsa, e cioè “correre per la corsa in sé” ma è anche vero che, anche in questo caso, c’è una forma di competizione e di sfida, ed è quella verso se stessi. In fondo lo si fa per migliorarsi, per stare meglio, per essere in forma. E quindi: rispetto a cosa e come si potrebbe misurare il miglioramento se non ci fossero termini di paragone? Anche il correre solo per il gusto di farlo comunque implica un sistema di misurazione.
Potremmo capire ancora meglio di cosa stiamo parlando se cambiassimo qualche nome: non ci stiamo semplicemente misurando ma ci stiamo dando un valore e non sarebbe possibile farlo se non esistesse un sistema di misura. Poi siamo umani e, come si dice, le misure contano. Appena le possiamo mettere su questo o quello cominciamo inesorabilmente a fare classifiche, non si scappa!
Il senso più profondo
Se però estendiamo il senso di quanto detto, possiamo intravedere che c’è qualcosa di ancora più profondo. Non si tratta solo di fare un personal best o di arrivare prima di questo o quella.
Qual è infatti l’origine della competizione? Innanzitutto è un modo per confrontare le prestazioni di diversi esseri umani, con lo scopo – spesso dimenticato – di sfidare limiti che si pensano insuperabili.
In un senso ancora più profondo però si basa sul desiderio quasi inconfessabile di essere più forti degli altri. Perché? Perché l’esserlo dà l’illusione o la speranza di sopravvivere.
Sembra esagerato? Pensa però a come è nata la competizione: non si tratta di un’invenzione moderna. In fondo si gareggia da sempre, da ben prima delle Olimpiadi dell’Antica Grecia.
Il misurarsi insomma serviva ad avere un’idea delle possibilità che si avevano di sopravvivere. O la confermava, in un’età antichissima. In fondo non si trattava di correre più veloce di altri esseri umani ma di un predatore che poteva ucciderti.
Oggi non è più così ma è probabile che qualcosa del codice genetico dei nostri antenati sia arrivato sino a noi: in fondo molti meccanismi metabolici funzionano ancora sfruttando il sistema operativo umano messo a punto millenni fa, basti pensare alle modalità con cui accumuliamo il grasso.
Competere è insomma naturale, esattamente come lo è fare paragoni e insomma, misurarsi.
Tra l’altro, come dicevano prima, serve soprattutto a farci apprezzare quello che abbiamo, che sia la corsa o la salute per poterla praticare.
Nella certezza che farlo non fa mai male.