Se fossimo nel podcast di Luca Bizzarri, ora partirebbe la sigla e l’effetto sonoro per l’inevitabile premessa. Immagina come se ci fosse perché, a scanso di equivoci, mi sento comunque in dovere di dire che: questa è la mia opinione personale; vuole essere uno spunto di riflessione e non “una verità calata dall’alto”; a volte fare la premessa è necessario soprattutto per chi non leggerà l’articolo e – invece – se la legge chi è qui e, molto probabilmente, non ne ha nemmeno bisogno. Ma tant’è, siamo nell’epoca delle premesse e dei distinguo e quando quest’epoca finirà sarà sempre troppo tardi.
Ecco, ora possiamo partire più sereni. E partiamo dal fatto – credo condiviso da tutti – che, qui in Italia, la cultura dello sport è bassissima.
Ammetto che, io per primo, tendo a dare una gran parte della responsabilità alla scuola e, a monte di questo, a un insufficiente interesse della politica a promuovere lo sport. Perché se la politica non si interessa, ci sono delle conseguenze che, a cascata, rendono la strada in salita allo sviluppo della cultura del movimento.
Proviamo a metterli in fila con le prime conseguenze che mi vengono in mente.
Se la politica non si muove attivamente, con forza ed efficacia:
- è impensabile che ci siano dei programmi scolastici adeguati;
- gli impianti sportivi non sono accessibili e, molto spesso, sono inadeguati e fatiscenti;
- tutto viene demandato alle poche società che, con volontari appassionati, cercano di fare quello che possono;
- abbiamo pochi atleti di punta che possono catalizzare l’attenzione dei giovani sullo sport.
Mi fermo, ma potrei continuare a lungo, anche se questa lista non ha alcun senso, perché è sbagliata in quanto parte dal presupposto che qualcun altro debba risolvere i problemi.
Infatti, a monte della politica, ci siamo noi che non “creiamo” le condizioni, la domanda e le necessità perché la nostra società sia più sana e attiva grazie allo sport.
Andando un po’ più a fondo del pensiero, non ha alcun senso pensare che la politica si interessi di un problema se noi (come società) non lo viviamo come una priorità. Ugualmente non possiamo pretendere che i bambini si interessino allo sport se, all’interno della famiglia, non viene vissuto come parte integrante e necessaria della vita.
Il problema, insomma, sta sempre nel delegare la soluzione del problema ad altri – politici, educatori, allenatori, società e “i videogame, signora mia, dove andremo a finire”.
E tutto questo, secondo me, è da far risalire a come viviamo lo sport noi adulti. Dovremmo, insomma, cambiare il nostro approccio e il modo in cui pensiamo allo sport.
L’interesse per lo sport non è il tifo per una squadra di calcio
Quando la maggior parte del dibattito (e pure di alcune interrogazioni parlamentari) si svolge sempre sul noioso tema di un rigore concesso o negato alla squadra del cuore, non stiamo parlando di sport bensì di tifo che, non a caso, in medicina è il “nome dato a più quadri morbosi” (da definizione Treccani) – che bella la lingua italiana.
C’entra però pochissimo con la passione per lo sport o con la sua pratica.
Dovremmo quindi essere più sportivi e meno tifosi. Vivere lo sport come un gioco anziché come uno strumento di rivalsa dalle frustrazioni quotidiane.
Quali sono i reali benefici dello sport?
Non è una domanda banale, perché in un quadro di percezione generale – al di là del bias cognitivo legato alla nostra esperienza personale – il beneficio dello sport è più legato all’aspetto estetico che ai veri benefici che possiamo avere praticandolo.
Certo, si dimagrisce, si diventa più tonici. Ma il benessere fisico, mentale e sociale che si trae dall’esercizio fisico va ben oltre il fatto di entrare in una taglia in meno.
In pratica si fa sport più “per stare in forma” che “per stare bene“. E questa è una percezione che dobbiamo cambiare noi adulti, tutti.
È proprio da qui che parte la diffusione dello sport. Parte dagli adulti, si propaga ai ragazzi, diventa una necessità, viene percepita dalla politica e dalla scuola e arrivano risposte potenti che cambiano la società. Ma tutto questo avviene solo se a monte c’è il buon esempio che arriva da tutti noi, da una pratica sana, con i giusti valori.
Dobbiamo, insomma, creare la domanda per pretendere che qualcuno dia una risposta. Politica e scuola vengono dopo.