Quanto guadagnano i trailrunner?

I runner e gli ultrarunner più forti devono e possono vivere della loro professione. Come? Anche con gli sponsor. Quanto possono guadagnare?

Chi pratica sport di squadra a livello professionistico fa un lavoro e per questo è pagato. Questo è un punto su cui non c’è molto da discutere, giusto? Senza parlare di chi guadagna cifre incredibili perché gioca in serie A o in leghe molto ricche o nell’NBA o nella NFL, il fatto di appartenere a una squadra garantisce anche uno stipendio.

Non esistono però solo sportivi che gareggiano in squadre: ci sono anche gli sport individuali come il tennis, il nuoto o la corsa. Come può garantirsi una certa tranquillità economica chi corre maratone o ultra? Facendosi sponsorizzare, ovviamente, e vincendo le gare. Sappiamo però che – a parte per le Majors, cioè le maratone più importanti come Londra, Boston, New York ecc. – i premi non sono giganteschi e soprattutto le possibilità di vincerli sono ridottissime.

Il magazine Trailrunner in un ottimo articolo di Brian Metzler descrive molto approfonditamente come funzionano le sponsorizzazioni nel mondo dell’ultratrail, quando può guadagnare un atleta sponsorizzato e come si muovono all’interno di questo mercato gli atleti e le atlete più capaci.

Perché i contratti durano un anno

Meltzer parte da una considerazione che chiunque può fare: come mai a gennaio di ogni anno molti atleti cambiano sponsor? Il motivo è presto detto: i contratti in genere durano un anno perché così lo sponsor ha la possibilità di misurare il suo impegno economico in funzione dei risultati raggiunti dall’atleta nell’anno precedente. Meltzer porta l’esempio di Tim Tollefson che dopo sei anni con Hoka ha firmato con Craft. Quello che sembrerebbe un rapporto sbilanciato a sfavore degli atleti non deve nascondere il fatto che anche loro hanno una leva negoziale: se i risultati che hanno ottenuto sono buoni o ottimi infatti possono spuntare contratti più corposi o possono anche decidere di cambiare per sfidarsi in continuazione, cioè applicando la logica che seguono nelle competizioni anche nella gestione della propria figura professionale e sportiva.

Quanto possono valere questi contratti? Da un minimo di 15.000 dollari a stagione per atleti senza particolari risultati sportivi, sino a 300.000 dollari per quelli – specialmente maratoneti – con risultati importanti soprattutto nelle Majors di cui si parlava prima.

Gli extra

Come spesso accade in molte professioni però, lo stipendio è solo una parte di ciò che un atleta può guadagnare. La retribuzione infatti può aumentare anche in relazione ad altri parametri, tipo la conquista di record, il medagliere complessivo, il fatto di aver comunque conquistato un podio, anche se non il più alto.

Non dimentichiamo comunque che gli atleti restano singoli professionisti che devono essere capaci non solo di prestazioni atletiche sopra la media ma anche di gestire la propria figura con i media, con i tifosi e soprattutto con le aziende. Insomma, non devono ragionare solo in funzione della gara ma in maniera più estesa: come delle aziende che come prodotto vendono se stessi.

Le aziende

È interessante anche vedere cosa è successo dall’altra parte, e cioè come si sono mosse le aziende. Il fatto di sponsorizzare atleti emergenti è una scommessa anche per loro ma alcune – specie le più giovani e altrettanto emergenti, come era Hoka 10 anni fa – hanno puntato su atleti promettenti per affermarsi sul mercato e ottenere risultati.

All’interno di questo panorama c’è un avvicendamento simile a quello che esiste fra gli atleti, anche se con un numero minore di soggetti: capita insomma che si inseriscano nuovi brand che cercano spazio e visibilità o che ne rientrino altri che magari si erano concentrati su altri settori sportivi e vogliono riacquistare posizioni in quel mondo.

Bisogna insomma immaginare che esistono sul campo due attori: i brand e gli atleti. L’intelligenza di entrambi sta nella strategia con cui riescono a negoziare i contratti sapendo quello che ognuno può offrire all’altro ma anche – cosa più sottile e interessante – quello che ognuno potrebbe portare in dote all’altro. Il fatto di sapere, per esempio, che un brand vuole affermarsi o ritornare nel settore è un’interessante leva per un atleta che vuole cambiare sponsor e ha da offrire capacità e risultati. Come si può capire insomma è una questione di strategia e capacità negoziale.

I mentori

Appunto: strategia. Certo che se uno deve pensare ad allenarsi per correre decine o centinaia di miglia non avrà molto tempo per pensare alla strategia commerciale del suo personal brand. E non è neanche detto che sia portato a farlo, del resto.

Come in molti altri casi nel mondo dello sport, gli US precedono l’Europa nell’innovazione, specie nell’ottimizzazione di processi nati spontaneamente ma che devono essere raffinati e “professionalizzati” per essere più efficienti. È il caso di The Trail Team, un servizio di mentoring fondato dal trail runner Andy Wacker che ha lo scopo di accompagnare atleti promettenti nella loro evoluzione, facendo incontrare l’offerta (cioè loro) e la domanda (cioè gli sponsor), oltre ad affiancargli coach e specialisti per migliorare, consigliando quali gare fare e come preparsi a farle. Se superano le selezioni, gli atleti che vengono presi nel Trail Team ricevono uno stipendio, oltre all’assistenza di cui si parlava. E vengono allenati non solo a migliorare le loro prestazioni sportive ma anche quelle negoziali e professionali. Per far quello che molti considereranno uno snaturamento, e cioè il divenire atleti professionisti, con capacità e prestazioni che hanno un costo che deve essere valorizzato e riconosciuto.

C’è forse meno romanticismo e poesia in questo approccio ma è anche giusto dare un valore alle persone. Anche e soprattutto economico.

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