Ci sono posti che ti mettono in discussione solo a guardarli. Chamonix è uno di questi. Non è solo la valle del lato francese ai piedi del Monte Bianco. Non è solo il luogo dove sono nate le Olimpiadi invernali. È il Boulder (Colorado) d’Europa, ma con più baguette e meno pickup. Ed è il posto dove due “animali di pianura” come noi – io e Martino – ci siamo ritrovati, un po’ per lavoro, un po’ per curiosità, un po’ per vagabondare, in occasione della Marathon du Mont Blanc.
Non avevamo obiettivi precisi. Nessuna gara da correre, nessun record da battere. Solo da ascoltare, guardare, respirare. E, come spesso succede, quando ti muovi senza aspettative, succedono le cose migliori.
Non è turismo climatico
Chamonix non è quella montagna da “villeggianti in cerca di fresco”. Non ci sono le famiglie in sandali e calzini, i selfie stick, le code per un panino con lo speck. A Chamonix nessuno sta fermo. Letteralmente. Qui si muovono tutti: scalano, corrono, volano con il parapendio (o “parapendí”, come l’abbiamo ribattezzato noi), pedalano, camminano. C’è un’energia che non è frenesia, ma propulsione naturale. È il luogo stesso che ti invita a muoverti. Che tu sia un professionista del trail o uno che si è appena affacciato al mondo della corsa in montagna, qui trovi spazio, stimoli, accoglienza.
Il cuore della gara (e della montagna)
Siamo stati ospiti di New Balance, che è partner principale della Marathon du Mont Blanc. L’evento ha numeri importanti (oltre 10.000 partecipanti, sei distanze competitive e una vertical) ma mantiene un’identità fortemente umana, artigianale, autentica. Una specie di “antitesi gentile e sostenibile” rispetto al carrozzone UTMB: meno marketing, più comunità. E sì, come dicevo, c’è anche molta attenzione alla sostenibilità. Non è solo una questione di emissioni (che comunque ci hanno chiesto di calcolare per il viaggio in auto), ma di approccio: la montagna non è un palco su cui esibirsi, è una casa da rispettare.
In questo bisogna fare i complimenti anche a New Balance che ha reso la sua presenza visibile ma non invadente, importante ma non arrogante. In due parole: sostenibile e rispettosa. Non è un aspetto da trascurare perché è davvero difficile trovare un brand che sappia definire un equilibrio simile in un’occasione che – senza troppi giri di parole – è un palcoscenico importante per la promozione.

Le interviste: quattro voci, un filo rosso
Abbiamo parlato con quattro persone. Giovani, esperti, manager. E tutti, in modi diversi, ci hanno raccontato la stessa cosa: che il trail è più di una disciplina sportiva. È un’esperienza fisica, mentale e ambientale. Martina Bilora e Mattia Bertoncini, due giovani atleti del team New Balance, ci hanno fatto entrare nel loro mondo con leggerezza e consapevolezza. Martina, alla sua prima 42 km in montagna, ci ha raccontato dell’ansia come alleata, della sfida con sé stessa, della natura come motore. Mattia, più esperto, ci ha parlato della discesa come tecnica da allenare, non come regalo gratuito della gravità. Entrambi hanno detto la cosa più semplice e difficile da imparare: ascolta te stesso, comincia con poco, goditi il paesaggio.
Poi c’è stato Davide Magnini. Uno che la montagna ce l’ha addosso come una seconda pelle. Reduce da un lungo infortunio, ha corso e vinto l’evento principale della Marathon du Mont-Blanc (complimenti, Davide!). Quando l’abbiamo intervistato, il giorno prima della gara, non lo sapevamo ancora. Ma si capiva. C’era quella calma da samurai, quella fiducia non arrogante che solo chi è davvero pronto riesce ad avere. Davide ci ha raccontato del valore della fatica, della preparazione minuziosa, della simbiosi con il paesaggio. E sì, anche della difficoltà di mangiare durante la corsa, che per molti trail runner è il vero nemico da sconfiggere.

Infine, Kevin Fitzpatrick. Vicepresidente di New Balance Running, americano gentile e appassionato. Con lui abbiamo parlato di community, visione, design, strategie. Ma soprattutto di rispetto. Per gli atleti, per le persone, per i luoghi. Il team trail di New Balance ha casa proprio a Chamonix. Uno chalet condiviso, una bellissima struttura in cui si vive, ci si allena, si cresce insieme. Un piccolo ecosistema che produce scarpe, sì, ma soprattutto cultura sportiva.
Trail come vita
Se c’è una cosa che ci siamo portati a casa è che il trail running non è solo un modo di correre: è un modo di stare al mondo. Richiede attenzione, ascolto, pazienza. Ti insegna a convivere con l’incertezza, con la fatica, con la paura. Ti obbliga a dosare le forze, ad accettare i limiti, a guardare dove metti i piedi. Ma poi ti regala anche la libertà di fermarti, di fare una foto, di guardare le stelle.
E se sei fortunato – e un po’ lo devi anche cercare – trovi luoghi come Chamonix. Dove si può camminare come flâneur, parlare con chi corre per professione ma non è impallinato, respirare aria leggera e imparare che nella corsa, come nella vita, non c’è una strada giusta. C’è solo la tua.


