L’elogio dell’ultimo arrivato: perché chi finisce la gara (anche fuori tempo massimo) è un eroe

Non sei "lento", sei "resistente". La tua medaglia pesa di più perché è carica di ore di fatica e di solitudine. La vera vittoria è tagliare quel traguardo, a qualunque costo

Dimentica il podio. I veri eroi corrono quando la festa è finita, lottando per il loro traguardo, un metro alla volta, anche quando le luci si sono spente.

  • Mentre i primi analizzano i loro dati, l’ultimo runner affronta la vera sfida: la battaglia contro il tempo limite e la stanchezza.
  • Non esiste il “lento”, esiste il “tenace”. Chi sta sulle gambe per ore accumula più corsa e più esperienza di chi finisce in fretta.
  • Il vero spirito della corsa non è nel tifo della folla, ma nel silenzio dell’ultimo chilometro, quando il mondo è già andato avanti.
  • Il tifo dei volontari che restano fino alla fine è il carburante più potente, un gesto di pura umanità.
  • I primi imparano a vincere contro gli altri. Gli ultimi imparano a vincere contro sé stessi, una lezione molto più profonda.
  • La medaglia è uguale per tutti, ma per l’ultimo finisher rappresenta la prova fisica di aver sconfitto i propri demoni personali.

Mentre i primi sono già sotto la doccia, dietro si corre la gara più importante.

Lo sparo d’inizio è l’atto più democratico della corsa. Per un istante, siamo tutti uguali. Stessa linea di partenza, stessa distanza da coprire. Poi, come è giusto che sia, il gruppo si sgrana. I primi, quei simpatici alieni che sembrano non toccare terra, divorano l’asfalto e chiudono la loro fatica in un tempo che per noi umani è quasi offensivo. Hanno già la loro medaglia, stanno analizzando i parziali sul GPS e probabilmente hanno già deciso quale pizza ordinare.

Ma la gara non è finita.

Lontano dai riflettori, lontano dal cronista che annuncia il vincitore, c’è un’altra gara. È più silenziosa, più lunga e, per certi versi, infinitamente più difficile. È la gara di chi sta combattendo non per il podio, ma per il semplice, meraviglioso, brutale diritto di arrivare. È la battaglia contro i crampi, contro il sole che ora picchia forte, contro il tempo limite che incombe come un avvoltoio.

Non sei “lento”, sei “resistente”: un cambio di prospettiva

Smettiamola di usare la parola “lento”. È un termine relativo, spesso inutile. “Lento” rispetto a chi? A un keniano? Beh, grazie, lo siamo quasi tutti. Se ci pensi bene, chi impiega cinque ore per finire una maratona ha fatto molta più “corsa” di chi l’ha chiusa in due e mezza. Ha accumulato più passi, più fatica, più tempo sulle gambe.

Non sei “lento”, sei resistente. Stai portando a termine un assedio.

La velocità è un’esplosione, la resistenza è una virtù testarda. È la capacità di continuare a mettere un piede davanti all’altro quando ogni fibra del tuo corpo ti sta implorando di fermarti a bere una birra sul primo marciapiede disponibile. È una forma di tenacia che chi corre veloce, concentrato sulla performance pura, forse non sperimenta mai con questa intensità.

La bellezza solitaria dell’ultimo chilometro (e il tifo dei volontari)

C’è un momento surreale, quando sei in fondo al gruppo. Il silenzio. Le transenne non ci sono più, o le stanno smontando proprio mentre passi. Il traffico ricomincia a scorrere. La città, che per qualche ora era stata il tuo stadio personale, torna alla sua vita normale, quasi indifferente al tuo dramma sportivo.

Corri in un mondo che è già andato avanti.

Eppure, non sei solo. Lì, all’ultimo ristoro che sta chiudendo, c’è un volontario. È stanco quanto te, è in piedi da ore, ma ti aspetta. Ti porge un bicchiere d’acqua con un sorriso che vale più di mille applausi all’arrivo. Quel gesto, quell’incoraggiamento (“Dai che ci sei!”), è il vero spirito della corsa. È l’umanità che celebra lo sforzo, non il risultato.

Cosa impari quando arrivi ultimo che i primi non sapranno mai.

Il primo classificato impara cosa serve per battere gli altri. È una lezione di tattica, di gestione dello sforzo, di talento. È una lezione preziosa, non c’è dubbio.

Ma l’ultimo arrivato impara una lezione diversa. Impara cosa serve per battere sé stesso.

Impari a conoscere la geografia esatta dei tuoi limiti, e poi scopri come spostare il confine un po’ più in là. Impari a negoziare con quella parte di te che vuole mollare, la trovi, la guardi in faccia e le dici: “Non oggi”. Scavi così a fondo dentro di te per trovare le energie che arrivi a scoprire risorse che non pensavi di avere. Il vincitore dimostra qualcosa al mondo; l’ultimo arrivato dimostra qualcosa a sé stesso.

Al traguardo, la medaglia pesa uguale per tutti (anzi, forse di più).

La medaglia è identica. Stesso metallo, stesso nastro colorato. Ma la tua, quella che ti mettono al collo quando magari l’arco d’arrivo è già mezzo sgonfio, ha un peso specifico diverso.

È più pesante.

È pesante di tutte le ore in cui hai corso da solo. È pesante dei dubbi che hai sconfitto a ogni chilometro. È la prova fisica che non hai mollato. Non è un trofeo, è una ricevuta. È la testimonianza che hai pagato il tuo biglietto fino all’ultimo centesimo di fatica. È il simbolo non di quanto sei stato veloce, ma di quanto sei stato forte. E questa è l’unica vittoria che conta davvero.

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