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L’allenatore Timothy Gallwey scoprì che la partita vera si gioca nella nostra testa, tra il critico “Self 1” e la parte istintiva “Self 2”. La performance migliore si ottiene solo quando riusciamo a zittire la mente che giudica.
Hai presente quella vocina che durante una corsa si trasforma nel più esigente e petulante dei personal trainer? Quella che ti dice che stai respirando male, che la tua falcata è inefficiente o che quello che ti ha appena superato sembrava si stesse semplicemente riscaldando? Ecco, non ce l’hai solo tu.
L’allenatore di tennis Timothy Gallwey, osservando i suoi atleti, capì che la partita più difficile non era contro l’avversario al di là della rete. La vera partita si gioca dentro la nostra testa, tra due “io”. Il primo, “Self 1”, è la mente cosciente, quella che giudica e critica. Il secondo, “Self 2”, è il nostro corpo, la nostra parte istintiva che sa già come muoversi in modo fluido e naturale. La performance migliore, scoprì Gallwey, si ottiene quando si riesce a zittire le continue interferenze di Self 1, lasciando che Self 2 faccia il suo lavoro in pace.
Ogni Self 2 è dotato sin dalla nascita, indipendentemente da dovesia avvenuta tale nascita, di un istinto che lo spinge a realizzare la propria natura. Vuole godere, imparare, capire, apprezzare, darsi da fare, riposare, essere in salute, sopravvivere, essere libero di essere ciò che è, esprimersi e dare il suo contributo unico.
— Timothy Gallwey, Il gioco interiore nel tennis
Il punto non è quindi “sforzarsi” di correre meglio, ma “permettere” al tuo corpo di correre. Il tuo avversario più ostico non è la fatica o il cronometro, ma il critico severo che alleni ogni giorno nella tua testa. Prova a dargli meno retta. Invece di pensare a come dovresti correre, concentrati sul sentire come stai correndo. Libera il gesto, fidati del processo.
Spesso, la corsa migliore è quella a cui pensiamo di meno.


