Di fatto succede questo: sei in un periodo tremendamente pacifico della tua vita, almeno dal punto di vista psicologico. Ti senti un Buddha, non nel senso di sentirti rotoli che ti coprono la buzza (=pancia), ma nel senso che ti senti tranquillona, senza ansia da prestazione, senza foga di fare allenamenti, ecc.
In questo stato di calma (apparente) … sbam! A ciel sereno ti capita che esci con quegli amici di amici che vedi davvero saltuariamente. Persone semplici, di buon animo, che di solito ti fanno sempre quelle cazz di domande: “Allora quando vai a New York?” (prima o poi dovrò deluderli nel profondo, e togliergli un argomento importante di avvio delle nostre conversazioni, spiegandogli che ebbene sì, New York c’è solo una volta all’anno, non è che fanno la maratona tutti i mesi).
E invece. In maniera disarmante, tra una birretta e un’altra, ti chiedono: “Ma tu, poi, perché corri?”
Il vuoto cosmico
Eh.
Nuvoletta da fumetto vuota, che si crea a partire dalla mia bocca.
[…] Temporeggio. Prendo la rincorsa.
Beh corro perché … No, non posso dire perchè mi fa stare bene, perché non è solo quello. Se facesse stare bene punto e basta, uno mica si sveglia alle 6 di mattina e si sbatte fuori dal letto 4 stagioni all’anno 4 giorni alla settimana. Se vuoi stare bene puoi correre anche 2 volte alla settimana, 1 volta alla settimana. Ognuno trova la sua misura.
Vengo incalzata: “No perché poi non è che “corri”, fai proprio delle distanze lunghe, della maratone. Cioè sono cose che ti prendono alla testa” [e qui, mi sono sentita un po’ guardata tipo Linda Blair e un po’ come un soggetto da internare il prima possibile]
Sì, vero; la maratona per ora è la distanza che mi si è cucita addosso. Non so se sia lei ad aver trovato me, o io ad aver trovato lei, ma fatto sta che quei 42km sono il motore di tutto. Dello svegliarsi, del programmare uscite, del conturbare le vite degli amici con i propri progetti…
La mia più grande rivale
“E poi non è che gareggi contro qualcuno, ma gareggi contro … contro di te?”
Esatto, gareggio contro me stessa. Non m’importa il risultato altrui. Non sono e non sarò mai un’atleta professionista, perciò la sfida è contro di me, incessantemente.
Sarò onesta: ad un certo punto mi sono trovata in imbarazzo; non perché mi vergognassi, ma perché la frase che mi è scappata dalla bocca è stata: “Come faccio a spiegartelo, è una roba talmente grande quando la fai quando ti ci butti dentro, che poi non riesci a descriverla con le parole, perché la vivi.” E poi irrimediabilmente, occhio lucido da commozione che mi viene ogni volta che racconto “private affair”. E lì si interrompe tutto, mica riesco ad andare avanti a parlare; da Linda Blair vengo immediatamente guardata come Brooke Logan di Beautiful nel peggiore momento in cui Ridge la lascia. Fuck.
Insomma, in questi giorni continuavo a riflettere su questa conversazione. Perché dovevo dare un ordine al tutto (e come minimo preparare una risposta che sopravviva alla rivelazione che New York non c’è tutti i mesi). Conosco persone che hanno iniziato per dimagrire, per smettere di fumare, per non sentirsi in colpa nel non fare nessuno sport.
Io corro perché.
Non è tanto la meta, che mi spinge a correre. E’ anche quella, ma è più il viaggio per arrivarci. Darsi un obiettivo, portarlo avanti, toccare i propri limiti, riuscire o non riuscire dove pensavamo, alzarsi un’ora prima la mattina e pensare che nella lunga giornata hai già dedicato un’ora facendo qualcosa per te. Sapere che c’è quella linea dell’orizzonte che stai guardando e che in un modo o nell’altro la raggiungerai.
Credo che alla fine davvero, corro per la gioia di farlo.
E tu, perché corri?