Ieri c’è stata la maratona di Pechino. Fin qui niente di strano. Di maratone ce ne sono praticamente ogni fine settimana: è quasi più difficile trovare un fine settimana in cui NON ce ne sia una piuttosto che il contrario. Ma quella di ieri a Pechino entrerà nella storia, e non per un record del mondo stabilito ma perché molti runner, pur di correrla, si sono dotati di maschere antismog, alcuni pure antigas. Che già una maratona è un massacro, figurati correrla con una maschera addosso.
Cosa è successo?
Prima dello start gli organizzatori diffondono un comunicato che avverte dell’alto tasso di PM2.5 (microparticelle inquinanti presenti nell’aria) pari a 344 µg/m3 . Per dare un’idea, basta sapere che la World Health Organization ha stabilito in 25 µg/m3 il limite di sicurezza tollerabile dall’organismo umano. Per un’esposizione di 24 ore. Quindi, riassumendo: chi ha corso la maratona di Pechino ieri è stato esposto ad una concentrazione di PM2.5 di quasi 14 volte superiore al limite. Per un tempo variabile dalle 2 alle 5/6 ore. Ecco, ieri era un buon giorno per metterci davvero pochissimo a correre una maratona.
The show must go on
Già correre una maratona in una delle città più inquinate del mondo è un azzardo, ma ieri se possibile è stato ancora peggio. Però gli organizzatori decidono che non si può dire ai 30.000 iscritti “Scusate, non ce l’aspettavamo. Non se ne fa niente”. Perché l’inquinamento di Pechino non è come una tempesta solare o un terremoto: lo puoi prevedere. Ma appunto: 30.000 iscritti e la pressione degli sponsor li avran condotti a più miti consigli, tipo dire ai partecipanti che era meglio indossare maschere antismog. E molti l’han fatto, alcuni pure indossando maschere antigas, sai mai.
Lungo il percorso poi erano a disposizione 140.000 spugne: non le solite per detergersi il sudore, ma spugne che servivano a togliersi di dosso lo smog e la polvere perché, come alcuni partecipanti hanno notato, non era difficile solo correre e respirare (male) in quelle condizioni, ma il sudore misto allo smog creava una pellicola viscida sulla pelle che impediva la traspirazione e quindi la termoregolazione del corpo. A fatica si aggiungeva fatica insomma.
Finish line
All’arrivo al parco Olimpico (il cui stadio, dicono i partecipanti, non era nemmeno visibile… per lo smog, ovviamente) ci sono arrivati incredibilmente due etiopi: Girmay Birhanu Gebru per gli uomini che ha vinto in 2:10:42 e Fatuma Sado Dergo in 2:30:3. Incredibilmente non per il fatto di essere etiopi (niente di nuovo da questo punto di vista) ma perché ci sono arrivati con tempi di tutto rispetto per una competizione svolta in condizioni normali, figurarsi per questa.
È correre questo?
Domanda retorica, ovviamente. No, non è correre. Correre è un’attività sana che va praticata in condizioni che non mettano a rischio la propria salute. Correre in mezzo allo smog è una di queste condizioni: purtroppo spesso, per esigenza e necessità, molti runner devono correre nei centri abitati e quindi esporsi a dosi di smog di certo non salutari. Esporre però così incoscientemente 30.000 persone all’inquinamento di certo non depone a favore di un’organizzazione che si è detta dispiaciuta e impossibilitata a posticipare l’evento (quasi la metà dei 30mila venivano da fuori o anche dall’estero) ma che avrebbe dovuto avere il coraggio di dire “Le cose stanno così, noi non ce la sentiamo di farvi correre. Di certo non possiamo impedirvelo, però non ci sono le condizioni di sicurezza per farlo”.
Trasformarla al volo in una run di massa non competitiva (senza omologare quindi il risultato finale) forse avrebbe dato un segnale più positivo: corriamo lo stesso, lo facciamo per meno chilometri, e denunciamo le condizioni in cui siamo costretti a farlo.
Purtroppo le cose non sono andate così.
Resta una foto curiosa e quasi surreale che riassume quello che il running non è: farlo in ogni condizione, anche se non c’è alcuna condizione per farlo.
(Photo Credits AP Photo/Andy Wong)