Sai che la consapevolezza è una nostra ossessione e sai anche quanto consideriamo importante curare i tre pilastri di una buona preparazione atletica: l’allenamento, l’alimentazione e il recupero. In questo ciclo di articoli vogliamo parlarti di cosa mettiamo sulle nostre tavole e, poi, nel nostro corpo.
Quanto siamo consapevoli e informati su quello che mangiamo? Quanto le nostre scelte alimentari sono guidate dalla conoscenza del cibo e quanto dall’istinto, dalla fame e dal poco tempo che dedichiamo a una cosa così importante come nutrirsi?
In cinque appuntamenti settimanali esploreremo un particolare tipo di cibi: quelli ultraprocessati. Perché concentrarsi solo su quelli? Perché sono ormai i più diffusi, i più economici, i più pratici e spesso anche i più saporiti. Sembrerebbero perfetti, non trovi? Purtroppo non lo sono. Diciamo “perfetti” perché potersi nutrire spendendo poco e senza conseguenze per il fisico sembrerebbe la soluzione perfetta per sfamare tutto il mondo. Il problema è che questi cibi non sono nutrienti o non tanto quanto si potrebbe pensare. E le conseguenze che hanno sul corpo di chi li assume sono ancora inesplorate.
Da dove viene il cibo?
Quando conosci una persona nuova, dopo avergli chiesto come si chiama, generalmente domandi da dove viene. È un modo per entrare in contatto e capire chi si ha di fronte. Il cibo non è una persona ma la sua origine non è per questo meno importante, anche perché col cibo abbiamo un rapporto molto intimo che dura tutta la vita e non si interrompe mai.
Ne abbiamo bisogno per vivere e lo “usiamo” anche in molti modi diversi:
- sociali, quando stiamo con altre persone
- culturali, quando ci permette di conoscere altre culture e tradizioni e di far conoscere le nostre
- psicologici, quando ci aiuta a compensare stati d’animo spiacevoli o quando lo rifiutiamo, evidenziando un malessere esistenziale.
Non c’è da stupirsene: come si diceva, il rapporto che abbiamo con il cibo è di lunghissima data e ci accompagna per sempre. Ed è anche estremamente intimo, tanto da evidenziare inconsciamente il nostro stato d’animo: quando mangiamo nervosamente e senza limite mostriamo irrequietezza e ansia, quando rifiutiamo il cibo manifestiamo disagio interiore e incapacità di accettarci. E così via.
La storia del nostro cibo
Come si diceva, per conoscere il cibo – una cosa così intima – dovremmo sapere da dove proviene, o averne almeno una vaga idea. Eppure non è così semplice. In fondo l’industrializzazione del comparto alimentare è relativamente recente ma ha avuto già conseguenze evidenti: l’umanità era abituata da millenni a ricavare il cibo dall’agricoltura, dalla caccia e dall’allevamento. Una volta si conosceva l’origine del cibo che si mangiava: era locale e con buone probabilità era normale conoscere l’agricoltore o l’allevatore che ce lo vendeva.
Oggi l’origine del cibo che mangiamo è distante dalla nostra tavola. Può sembrare un aspetto marginale ma il cibo è qualcosa che mettiamo dentro di noi, e sapere da dove viene e soprattutto come è fatto dovrebbe interessarci. Si dice “Sei quello che mangi” e non è solo un modo di dire ma una grande verità, anche perché biologicamente è dimostrata: il nostro corpo trasforma il cibo che gli diamo in muscoli, tessuti, energia e quindi in noi stessi.
Non ti suggeriremo però di coltivare le tue carote e allevare un maiale in casa: è ovvio che non è più possibile ragionare in questi termini. Quello che possiamo fare è però darti qualche elemento per capire meglio cosa compri al supermercato e cosa consumi a casa. La consapevolezza rende liberi (assieme alla conoscenza, su cui si basa), anche di decidere cosa mangiare e perché. Però sapendo prima esattamente di cosa si tratta. Non vogliamo – un atteggiamento simile non ci appartiene proprio – dirti cosa è giusto e cosa è sbagliato mangiare o, peggio, condannare nessuno perché mangia cose particolarmente dannose. Noi stessi a volte indulgiamo e ci concediamo di “deviare”, mangiando o bevendo cose che sappiamo non essere salutari. La differenza sta nella quantità e nella consapevolezza. È giusto concedersi dei piaceri proibiti, mentre è problematico farli diventare abitudini.
I tipi di cibo
Dopo questa lunga introduzione entriamo nel merito degli argomenti che svilupperemo meglio nelle prossime settimane. Saremo brevissimi: questi sono un po’ come gli attori dello spettacolo che stai per vedere. Eccoli:
- il cibo non processato, o fresco
- il cibo processato
- il cibo ultraprocessato.
Sono tre, sono anche facili da tenere a mente. Quello che ti stupirà sapere è che al secondo tipo appartengono anche cibi che giustamente sono considerati salutari. Un esempio? La mozzarella è un cibo processato, eppure nessuno si sognerebbe di dire che faccia male. Se non sei intollerante al lattosio è perfettamente sicuro mangiarla, eppure resta il fatto che si tratta di un cibo processato. Anche il latte e i pomodori in scatola sono cibo processato, perché hanno subito dei processi per permetterne la conservazione più a lungo. Quello che vogliamo dire è che il fatto di essere processato non significa di per sé niente, specie rispetto alla sua qualità e alle sue caratteristiche nutrizionali. Si tratta infatti di una definizione che riguarda come è fatto, non di cosa è fatto. Ma questo è vero per il cibo processato perché parlando di quello ultraprocessato dovremo fare anche e soprattutto riferimento a come e con cosa è fatto.
Riassumendo, i tre tipi di cibi che puoi trovare in vendita sono:
- Cibi freschi: come frutta, verdura, cereali integrali, noci, semi, legumi, carni e latticini poco lavorati. Insomma, tutto ciò che è il più possibile vicino al suo stato naturale.
- Cibi processati: cibi che sono stati alterati in qualche modo ma conservano ancora molti dei loro nutrienti originali.
- Cibi ultraprocessati: di solito sono composti da più ingredienti, molti dei quali sono additivi, conservanti e aromi. Spesso sono talmente trasformati da assomigliare poco alle loro fonti alimentari originali.
Concludiamo con la nonna. Perché proprio lei? Perché un modo per capire se un cibo è ultraprocessato è quello di leggerne gli ingredienti proprio a lei: si dice che se non capisce la maggior parte di quelli usati per farlo allora è ultraprocessato. Un altro modo è quello di leggere la stessa lista e, al di là del capire o meno di quali ingredienti si tratta, controllare se li hai in cucina. Scommettiamo? Non li hai, come non li abbiamo neanche noi e probabilmente nessuno. È infatti più facile trovarli in un laboratorio chimico che in una cucina. Ma ci arriviamo.
Un’ultima nota prima di lasciarci (per ora): gran parte di quello che leggerai è tratto dal lavoro del dottor Chris van Tulleken, autore di “Ultra-Processed People”
Alla prossima settimana!
Speciale sul cibo ultraprocessato
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I tipi di cibo: fresco, processato e ultraprocessato
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Come nasce il cibo ultraprocessato
- Le conseguenze sulla salute