Destini incrociati (al cubo) – Road to Kona

Qualcuno corre nel tentativo di dare risposte alle proprie domande, approfittando delle alterazioni chimiche che la nostra mente architetta in combutta con il resto del corpo, mentre muoviamo i piedi avanti e indietro. Un modo per riuscire a frugare negli angoli più reconditi del cervello e del cuore, diversamente non raggiungibili. Altri, come me, corrono nel tentativo di raggiungere il nirvana, svuotarsi completamente da ogni pensiero, essere ciò che si sta facendo in quel momento, abbandonarsi ad un flusso incosciente per fondere corpo e anima in un’unica entità, per quanto temporanea e instabile unione.

Qualunque sia il motivo o la prospettiva da cui la si guardi, la corsa è una ricerca sempre aperta che ogni volta ci trascina “un po’ più in là”. Incominci con l’obiettivo di correre 30 minuti, poi passi a un’ora, quindi ti ritrovi dentro una garetta non competitiva fino a quando non inizi a fare sul serio e un bel giorno tagli il traguardo di una maratona.

Più è difficile, più è divertente

Succede anche che il tuo corpo si risenta parecchio per tutto questo correre e un medico ti dica che dovresti alleviare un po’ i carichi alternandolo a nuoto e bicicletta. Trovi un allenatore che ti insegna a nuotare come si deve e cominci a guardare le vetrine di tutti i negozi di bici della città. Scopri che tre cose diverse possono diventarne una sola, che si definisce triathlon, e i tuoi neuroni deducono che sia un modo ancora migliore per andare oltre i tuoi limiti, specialmente nella versione che prevede 3,8km di nuoto, 180km di bici, 42km di corsa, tutti in sequenza senza soluzione di continuità. E impari che c’è una serie denominata IronMan (IM), si corre in tutto il mondo e serve a selezionare i 3000 e rotti fortunati che ogni anno possono partecipare al Mondiale di specialità, nella terra dei vulcani sospesi tra mare e cielo che si chiama Hawaii, sull’isola di Kona, per essere proprio precisi.

Così come non ci si improvvisa maratoneti, o almeno non bisognerebbe farlo, non si può scherzare neppure con l’IM. Da qualche parte bisogna pur cominciare e per me l’inizio è un luogo, un tempo e una distanza precisa, il 2 giugno 2012 in una cittadina dell’Emilia senza alcun aspetto interessante, San Giovanni in Persiceto, pochi chilometri a nord est di Bologna per una gara Sprint (750m in piscina, 20km nella bassa, 5k nel parco del centro sportivo). Grazie a runlovers.it e Twitter ho incontrato Federico, anima della squadra di triathlon della Polisportiva Porta Saragozza in Bologna e Ironman di lungo corso. È un attimo capire che sarà il mio Virgilio in un viaggio lunghissimo, difficile e dall’esito incerto ed è proprio lui a fissarne il momento iniziale.

Il mese di maggio è tutto dedicato a questo obiettivo, sei giorni a settimana suddivisi in due sessioni di nuoto, due di bici e due di corsa, con qualche combinato per allenare il corpo a gestire l’innaturale cambio di disciplina. Lavori basati prevalentemente su frequenze cardiache altissime, spesso fuori soglia, allo scopo di rendere braccia e gambe più potenti e veloci. È iniziato il percorso che mi deve trasformare da runner in triatleta, un processo complesso nel quale dedizione, sacrificio, pazienza e passione devono trovare un equilibrio sereno.

Never give up

Sabato 20 maggio è dedicato alla bici, 60km di agilità in pianura tra Parma e l’argine del Po a Roccabianca. Andata e ritorno. Rientro, cena, cinema e a nanna entro l’una di notte. Routine, noiosa se siete “gente della notte”, rassicurante se siete amanti della tranquillità. Vita da atleta, comunque. Routine spezzata alle 4:03 da un terremoto di magnitudo 5.9. Epicentro tra Ferrara e Modena. È l’inizio di una lunga serie di scosse, con tanto di ripetizione a 5.8, martedi 29 maggio, questa volta ancora più vicina, tra Finale Emilia, Mirandola, San Felice sul Panaro. Normalità e vite spezzate, perdite, angoscia e l’orizzonte del futuro che si restringe. Una catastrofe, altro che baggianate legate allo sport potrebbe pensare qualcuno, che incidentalmente sfiora San Giovanni Persiceto. Quando fatichi a dormire la notte non ti viene proprio voglia di pensare ad una gara, figuriamoci organizzarla se ad un chilometro di distanza c’è gente che non ha neppure più una casa.

E invece proprio nel momento in cui tutto sembra messo a soqquadro dalla realtà c’è un gruppo di persone che decide di non arrendersi, di non lasciare che la propria vita sia sconvolta da un evento, per quanto di enorme portata. Da Facebook (benedetta tecnologia), i ragazzi della società G.S. Pasta Granarolo organizzatrice della gara, spiegano che non hanno nessuna intenzione di mollare. Chiedono a tutti gli iscritti di non lasciarli soli, di andare a San Giovanni per stare in mezzo a chi da giorni vive nella preoccupazione, a portare calore, sorrisi, entusiasmo e voglia di andare avanti, sempre e comunque anche di fronte alle difficoltà. E così accade, siamo 570 al via della gara, in una splendida giornata di sole che ha come centro logistico la piscina della città, brulicante di vita e voglia di vivere. La nostra presenza permette di raccogliere 3000 kg di pasta immediatamente donata agli sfollati, una bella cifretta in denaro ma soprattutto trasmette un messaggio di solidarietà e unione, ennesima dimostrazione della forza dirompente dello sport, capace di moltiplicare le energie e aprire prospettive.

Microchip emozionale

E in tutto questo poco importa della mia prima volta da triatleta, dell’emozione alla prima bracciata in acqua; del timore di non riuscire ad uscire dalla vasca cancellata da una spinta di cui non mi sarei creduto capace (nobilitata da un taglio sul ginocchio); della frazione in bici percorsa in gruppo con Andrea Devicenzi (atleta paralimpico amputato alla gamba sinistra) che mi ha tirato fino alla seconda transizione, una gamba in meno e 10 volte la mia intensità mentale, un esempio; del traguardo raggiunto in 1h19’03”, rendendomi orgoglioso di me stesso tanto quanto il traguardo della Milano City Marathon, anche se so che c’è ancora tantissimo lavoro da fare.

Per gestire tutti questi stati d’animo servirebbe anche a me un microchip emozionale ma alla fine, mentre rientro a Parma con il cd dei Subsonica che riempie la macchina di suoni, penso che sono un privilegiato a poter fare ciò che mi piace e che per questo non posso che essere felice. Sento il dovere di provare a essere sempre un po’ migliore, se non altro per rispetto verso chi fa lo stesso tutti i giorni, in condizioni molto più difficili della mia. Road to Kona è appena iniziata. Nuota, pedala, corri: nuova ossessione.

 

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