Qual è il tuo limite?

Le classifiche di velocità non servono a molto se non a restituire un numero. Ma tu non sei descritto solo da un numero.

Anni fa mi capitava spesso che, una volta raccontato che correvo, mi venisse chiesto a che velocità. Non è strano e per molti versi questa domanda è il corrispondente di “Che lavoro fai?” che comunemente si fa quando si conosce qualcuno per la prima volta. Sono domande che rispondono al bisogno di collocare le persone sconosciute in un certo ambito: servono a capire, a prendere le misure, a impostare una strategia di relazione. “È una persona che fa un lavoro importante” diventa “È uno che corre davvero forte”.

Se ci fai caso, più conosci le persone intimamente, meno ti interessa che lavoro fanno. Non hai bisogno di mettergli addosso un’etichetta perché – per fortuna – la conoscenza approfondita dà la giusta importanza a ciò che davvero conta, ossia come quella persona è.

La velocità è un parametro che colloca sempre con imprecisa precisione le persone in certe categorie. È inutile negare che esiste una specie di scala sociale anche nella corsa: se corri lento vieni visto come relativamente interessante, se corri veloce sei un fenomeno. Funziona così, almeno all’inizio. È una reazione istintiva, un po’ pigra ma anche comprensibile. Almeno finché non te ne frega più niente.

Le ultime volte che me l’hanno chiesto ho risposto che non lo sapevo (ed è vero, di certo non lo so con precisione e non mi interessa saperlo – non perché lo troverei umiliante ma proprio perché non me ne frega niente), per poi specificare che sono un runner meditativo. È tutto vero e soprattutto rasserena i più competitivi che, da quel momento in poi, ti vedono come uno che “Ok, corre ma non seriamente”. Ancora una volta: chissenefrega.

Un allenatore

John Wooden è stato uno degli allenatori più di successo del basketball collegiale americano. Una leggenda assoluta. Quando gli chiedevano quale fosse la squadra che aveva amato di più allenare tutti si aspettavano che citasse la più forte. Invece lui stupiva tutti raccontando di una squadra da fondo classifica, che però lui era riuscito a portare al successo. Cosa gli interessava sottolineare? Che allenare una squadra fenomenale è bellissimo e gratificante ma che lo è ancora di più allenarne una su cui nessuno punterebbe 5 centesimi, e invece si dimostra capace di un’evoluzione prodigiosa.

Lo sforzo fatto da quei ragazzi insomma era stupefacente non rispetto ai primi in classifica (che meritavano di starci e che si sforzavano altrettanto, ma a un altro livello) ma rispetto a loro stessi. Wooden aveva tirato fuori da quei giocatori una versione di loro stessi che non sospettavano nemmeno esistesse.

È il tuo limite

La domanda da cui sono partito ha una gemella, che resta sottintesa: “Qual è il tuo limite?”. Che si può tradurre infatti con “A quanto vai?” Serve a metterti all’interno di una classifica e non a molto altro. Tralasciando il fatto che fare classifiche in uno sport come la corsa è inutile, così facendo si trascura che la corsa ha una dimensione competitiva principale, ed è quella contro se stessi. Il limite di qualcuno è 4 minuti al km, il limite di altri è 6, il limite di moltissimi altri è riuscire a mettersi le scarpe e portare il corpo su una strada e fare una cosa mai fatta: correre.

Tutti i limiti vanno rispettati. Chiunque supera un proprio limite ha dimostrato di sapersi sfidare, mettersi a disagio, soffrire. Ha dimostrato di voler evolversi. Misurare la sua prestazione con un numero e una velocità è un modo monodimensionale per farlo: è un numero che non dice niente dello sforzo e della volontà che ha dovuto esprimere.

Si dice di portare rispetto per le battaglie che tutti combattiamo, e di tenerle a mente quando conosciamo qualcuno e lo giudichiamo. Fare classifiche significa giudicare. Farle responsabilmente significa sapere che dicono una sola cosa: chi è più veloce. Lo dicono con un numero che non dice niente della persona, della sua vita, del sudore che ci ha messo.

Ognuno ha il suo limite e non conta averlo più alto o più basso di questo o quello. Conta superarlo, o almeno provarci.

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