Eliminare il rumore di fondo

Perché il sentimento più frequente quando si parla di cambiamento climatico è la noia? Perché ci si abitua a tutto, a meno che…

È arrivato novembre e indosso ancora magliette a maniche corte, dalla Puglia mi arrivano immagini di persone che fanno il bagno, entro in un negozio di articoli sportivi e guardo titubante il reparto di abbigliamento invernale: davvero avrò bisogno di tutta questa roba? Solo tre mesi fa guardavamo preoccupati all’acqua marina che si era spinta nel Po fino a quaranta chilometri dalla costa a causa della siccità. Ci stiamo abituando a guardare al freddo come a un fenomeno di poche settimane, non più in grado di abbracciare almeno un’intera stagione.

La realtà del cambiamento climatico sta diventando così limpida da zittire ogni accenno di negazionismo, anche se è l’ultimo dei problemi. Il punto più importante credo sia constatare che al cambiamento climatico presente ancora non stia seguendo un cambiamento dei comportamenti dell’uomo e, quando questo avviene, è ancora troppo legato al buon senso individuale, non certo frutto di decisioni collettive radicali. Non è centrale nell’agenda setting dei media e non lo è stato Neanche nell’ultima campagna elettorale del nostro paese.

Un libro

In questi giorni ho letto Il tempo e l’acqua (Iperborea, 2020) di Andri Snæ Magnason. Più andavo avanti e più avevo bisogno di prendermi delle pause, leggevo troppe testimonianze importanti, segnavo sul margine delle pagine un sacco di domande e nella mia testa si affollavano pensieri contrastanti. È un fenomeno tipico degli ottimi libri.

Partendo dalla sua piccola Islanda, Magnason ci porta a spasso nelle pieghe del nostro pianeta, facendoci sognare nelle descrizioni di ghiacciai e vulcani (sconvolgente come ghiaccio e fuoco si sposino sul suolo islandese) e disegnando futuri possibili e vicini. Nei viaggi di Magnason ci sono state interviste con il Dalai Lama e riflessioni sulla bolla immobiliare cinese, coccodrilli a rischio d’estinzione e barriere coralline in sofferenza, medici che hanno operato Oppenheimer e Andy Warhol, leggende nordiche, capi di stato sordi alle emergenze planetarie, termometri preoccupanti e spiagge di plastica.

Un ibrido meraviglioso di storie, divulgazione scientifica, poesia e giornalismo d’inchiesta con un grande protagonista, il pianeta, e due temi cardine scolpiti nel titolo. Nell’esatto momento in cui ho riposto la mia copia in libreria, mi sono sentito in dovere di scrivere queste righe. Non si tratta certo di una recensione, questa, piuttosto è il tentativo di innaffiare le parole di Magnason e dare continuità a quello che ho assorbito io: acqua e tempo, ancora loro due.

Cosa ne sappiamo oggi del cambiamento climatico?

Se davvero i sette miliardi di oggi diventeranno dieci alla fine del secolo e la temperatura media salirà di oltre due gradi, vuol dire che il dibattito pubblico di oggi è più inquinato dell’aria. Continuiamo a ragionare come persone e non come specie umana. Non sto qui a elencare gli scenari possibili che fino a pochi anni fa erano appannaggio solo dei film di fantascienza, basta guardare ai pericoli di Venezia per sentire uno squillo dal futuro.
Eppure c’è un’apatia che serpeggia attorno al cambiamento climatico. Provo interesse, ma solo fino a un certo punto. Non riesco ad avere tutto questo turbamento, nonostante i fiumi in secca, le estati sempre più lunghe e i pochi (e devastanti) temporali che causano morti e milioni di danni.

C’è un’espressione molto forte che usa Magnason per dare un nome a questa apatia ed è “rumore bianco”, un ronzio di fondo con il quale si può convivere senza troppi patemi.
Anche assumere comportamenti virtuosi e buone abitudini, alla lunga, rischia di essere frustrante, quando basta una guerra tra due nazioni a migliaia di chilometri di distanza per scatenare un effetto a catena che porta a raddoppiare la produzione della centrale a carbone a due passi da casa mia. Ragionare come persone e non come specie porta a queste conseguenze.

Quindi?

Torniamo al ronzio. Come fare a intervenire sul volume e trasformarlo in un allarme?
Io ho questo difetto. Ogni volta che mi trovo di fronte a un problema complesso, mi metto a guardare subito verso una scuola. Sarà perché ci lavoro o perché ho sempre creduto nel potere di una buona istruzione, ma resto fermo sulla convinzione che da lì arrivano (e si risolvono) gran parte dei nostri problemi.

Vogliamo creare una nuova consapevolezza climatica? Prendiamo la geografia, a esempio. Lo stato attuale delle cose ci porta a due problemi di fondo: tempo e acqua, sempre loro due. Sul primo abbiamo un quadro impietoso. Si fa geografia due ore a settimana nelle scuole medie, mentre nei licei e negli istituti tecnici ha registrato l’orribile mutazione di geostoria, un declassamento bello e buono lasciato lì solo come uno scrupolo di coscienza e non come una materia che è parte della spina dorsale dell’istruzione dello studente. Nota a margine: passato il biennio di scuola superiore, si perdono le tracce di geostoria in quasi tutti gli indirizzi, con il risultato di dover zippare in due anni i pochissimi argomenti che si riescono a studiare.
L’acqua, invece, è una sorta di simbolo. Per come la materia è impostata nella scuola dell’obbligo, diventa fondamentale conoscere a memoria tutti gli affluenti del Po anziché capire il funzionamento di un ghiacciaio. Leggo verifiche in cui gli studenti conoscono l’esatta densità di popolazione dell’Inghilterra ma non sanno spiegare i motivi per la quale è più alta in alcune zone rispetto ad altre. Un’attività di schedatura priva di ogni ragionamento.

Ecco dove nasce il ronzio. Dai tagli, dalle cose imparate a memoria, dall’ostinata rinuncia al perché.
La generazione che oggi siede sui banchi di scuola è molto più consapevole della mia che non faceva la raccolta differenziata in classe e percepiva la giusta durata di tutte e quattro le stagioni. Basterebbe non corromperla, ma innaffiarla con una conoscenza modellata sulle notizie dal mondo, le domande del futuro.

Il tempo e l’acqua ci sono ancora, ma bisogna alzare il volume.

Andrea Martina

(Credits immagine principale: alonesdj on DepositPhotos.com)

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