Le braccia nella corsa

Se è vero che si corre con le gambe è altrettanto vero che non si può trascurare il movimento delle braccia nella dinamica di corsa


  • Camminando e correndo, il coordinamento braccia-gambe avviene automaticamente per mantenere l’equilibrio.
  • FLe braccia seguono la stessa frequenza delle gambe. Focalizzarsi su di esse, specialmente in salita, può migliorare la spinta e aumentare la frequenza di corsa.
  • Le braccia dovrebbero muoversi su binari paralleli, senza tensione. Le mani devono essere rilassate per evitare problemi posturali e spreco di energia.

 

Quando camminiamo, e di conseguenza anche quando corriamo, non dobbiamo pensare a come muovere le braccia né tanto meno dobbiamo preoccuparci di tenere una frequenza di movimento corretta. Le muoviamo e basta. 

La consequenzialità del movimento braccia-gambe è un movimento naturale, un automatismo a cui non dobbiamo pensare. È un movimento compensatorio che serve per mantenerci in equilibrio. 

La frequenza

La frequenza del movimento delle braccia è la stessa frequenza del movimento delle gambe. È importante tenerlo a mente perché fa capire quando le braccia possono diventare da movimento automatico a movimento motore. Per esempio quando corriamo in salita, all’aumentare della pendenza viene naturale aiutarsi a spingere facendo un movimento più amplio delle braccia. Viene enfatizzato il movimento delle braccia che indirettamente si riporta anche sulle gambe.

Focalizzarci sul movimento delle braccia ha senso solo in determinate situazioni, per esempio nella corsa in salita, durante le ripetute e gli allunghi. In questi casi è utile perché può portare un vantaggio a livello di spinta. È anche un espediente per ingannare la mente: facendo andare più forte le braccia le gambe seguiranno letteralmente a ruota e si aumenterà di conseguenza la frequenza della corsa.

Il movimento delle braccia migliora la forza ma è altresì vero che si tratta di un movimento più o meno dispendioso a livello energetico.

Il caso dell’allenatore cinese

Se è vero che nella maratona vince chi, a parità di motore riesce a spendere meno energia, è altrettanto vero che in passato alcune atlete cinesi di medio alto livello sono state obbligate dal loro allenatore a correre con le braccia tese lungo i fianchi.

Facendo un ragionamento puramente fisiologico l’allenatore intendeva limare energia dal movimento delle braccia, secondo la sua opinione non indispensabile, senza rendersi conto tuttavia del notevole dispendio energetico che serviva per mantenere il corpo in asse. Una questione di priorità. Nonostante tutto le atlete correvano forte lo stesso. A dimostrazione del fatto che il fisico si adatta anche alle situazioni più scomode, trovando sempre nuove soluzioni.

La posizione

Le braccia andrebbero tenute su due binari paralleli senza farle incrociarle. Il gomito non deve essere troppo chiuso con il polso che tocca la spalla ma deve essere aperto, seppur non in modo eccessivo. Le spalle devono rimanere rilassate, non rigide.

Il range di movimento è relazionato alla velocità: all’aumentare della falcata e della velocità il movimento delle braccia diventa più amplio a sua volta. Prova a pensare a un centista e a un maratoneta. La differenza ti risulterà evidente. Da qui ne si deduce che l’ampiezza del movimento è strettamente relazionato alla velocità di corsa.

Non dimenticare le mani

Le mani non devono essere in tensione. Tenere il pugno chiuso o la mano rigida non va bene perché fa spendere parecchia energia sul lungo periodo come nel caso della corsa di endurance. Questa tensione può scatenarne una catena di altre tensioni ai muscoli del collo per esempio e, alla lunga, causare problemi posturali.

Immagina di tenere le mani in una posizione naturale, come quando sei a riposo. Esistono diversi escamotage per aiutarti ad assumere la posa corretta, come pensare di afferrare un uovo o un pulcino: la stretta dovrà essere abbastanza forte da non far cadere ciò che abbiamo nel palmo della mano ma non troppo decisa per non rompere l’uovo o fare del male al pulcino.

Correggi quel che puoi

Se è vero che esiste una teoria e un modello da prendere ad esempio non è detto che debba essere seguito alla lettera. Non succede nemmeno per gli atleti professionisti.

Si può cercare di correggere la posizione senza però cercare di snaturarla. Il corpo tenderà a tornare nella posizione che ha consolidato nel corso degli anni. Un bambino si può correggere più facilmente. Un adulto no.

Se c’è un evidente squilibrio che può portare, direttamente o indirettamente, a qualche problema si cerca di correggerlo limandolo, non stravolgendolo. Si parla di un gesto automatizzato che difficilmente si eliminerà, anzi. La correzione deve mirare a ridurre l’errore. In alternativa con un intervento drastico si rischierà di portare lo squilibrio in un altro movimento.

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