Correre sul Monte Fuji

Dopo le prime due tappe a Kyoto e Tokyo, Cristina è arrivata sul Monte Fuji. Per correrlo, ovviamente!


Quella sensazione di rilassatezza che accompagna le mattine senza sveglia, ah! Mi alzo, apro le tende ed esco sulla veranda che si affaccia sul Lago Kawaguchi e il Monte Fuji. Fuji-san (富士山), come lo chiamano in Giappone, si erge in tutta la sua maestosità al di là del lago e, cosa più unica che rara, mostra la sua punta a 3,776 metri di altezza senza una nuvola attorno. La vista è magnifica e l’aria frizzantina, e indugio immersa mente e corpo in questo meraviglioso paesaggio naturale.

Mi vesto, allaccio le scarpe, ed esco dal complesso di casette dove alloggio, tutte vista Monte Fuji e nascoste dentro un bosco alle pendici del lago. Percorro il primo tratto di strada tra una fitta vegetazione fatta per lo più di alti alberi la cui chioma ha le classiche tinte preautunnali. Oltre al terriccio marrone scuro, per terra ci sono un po’ di foglie, ghiande e castagne. Raggiungo la strada che costeggia il lago e continuo a correre lasciandomi il Monte Fuji alla sinistra.

Mi distraggo spesso e volentieri per ammirare la sagoma di questo vulcano e il suo riflesso nel lago: il sole a poco a poco si fa più alto e illumina la parte centrale del cono del monte e si vedono il cambiamento dei colori del terreno dalla base alla sommità, così come le diverse increspature e venature della parete. A ben vedere, sulla punta si intuisce una costruzione artificiale che è uno dei punti di arrivo dei diversi sentieri che ogni anno portano in cima 300,000 persone. Sorrido a pensare che ieri mattina ero lassù ad ammirare l’alba e ad assaporare la sensazione di appagamento dopo aver scalato in una sola tirata 1,400 metri di dislivello con partenza all’1 di notte! Nonostante il trekking di ieri, oggi le gambe girano abbastanza bene e mi piace pensare che stamattina, correndo lungo il lago alle sue pendici, il Monte Fuji mi stia offrendo la possibilità di smaltire l’acido lattico accumulato durante la scalata.

Quando la strada inizia ad allontanarsi dal lungo lago e si addentra verso un tratto di foresta, decido di fare dietrofront e di tornare verso casa. Ormai è mattina quasi inoltrata e inizia a esserci un po’ di movimento in giro: alcuni caffè che prima erano chiusi, ora espongono i loro menù su delle lavagne di legno appoggiate sul marciapiede e sul lago ci sono delle squadre di windsurf che si allenano e alcune canoe.

Passo davanti ad una scuola elementare e assisto all’entrata degli studenti: non devono avere più di sei o sette anni, indossano uniformi verdi e calze bianche tirate su fino al ginocchio, e alcuni di loro mi guardano con grandi occhi scuri. Li saluto con la mano e ricambiano con un sorriso.

Fermo il Garmin quando arrivo all’inizio della strada nel bosco che porta alla reception, riprendo fiato e mi guardo attorno un’ultima volta per fotografare con gli occhi questo momento, pregustandomi ciò che mi aspetta: un bagno caldo con vista Monte Fuji e, dulcis in fundo, una colazione a base di prelibatezze giapponesi dai sapori autunnali. Decisamente grata per tutto ciò (arigatō!), mi viene in mente il detto giapponese “Colui che scala il Monte Fuji una volta è un saggio; colui che lo scala due volte è un pazzo” e penso che senza dubbio appartengo alla seconda categoria perché so già che un giorno tornerò lassù in punta.

Cristina Lussiana


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